Regia di Felix Van Groeningen vedi scheda film
FESTA DEL CINEMA ROMA 2018
Autentica odissea, tratto da storia vera, di un padre sulle orme del figlio preda della droga.
Un padre combattente che cerca di non mollare mai (o quasi).
Ed un bravo ragazzo - il beautiful boy mutuato dalla canzone che John Lennon dedicò al figlio - che partendo da, solo in teoria, innocue canne, sviluppa tutta l’escalation delle assunzioni tossiche, fino alle droghe sintetiche più letali.
Un film che tiene alta l’attenzione, grazie all’interesse suscitato dall’agrodolce rapporto padre/figlio, dove David Sheff (Steve Carell) se la cava decisamente meglio del figlio Nic (Timothée Chalamet), un po’ troppo non so bene quello faccio, ma lo faccio, lo faccio, lo faccio, già eroino imberbe di Chiamami col tuo nome, e pure là indeciso sul come accoppiarsi; evidentemente questi ruoli tra l’esitante e l’insicuro, quel “vorrei ma non posso”, i personaggi lacrimosi/tormentati, con in questo caso Bukosvki a fare da alibi, gli si cuciono bene addosso.
Una gara tra i due a chi demorda prima, con gli altri familiari a fare più o meno da contorno, è una guerra personale di David padre, contro il mostro “dipendenza”, c’è un senso di colpa continuo ad affliggerlo, un senso di impotenza che pervade l’intera pellicola, e Carell lo sviscera assai meglio di quanto Chalamet non renda palpabile il disagio del tossico, spesso rappresentato didascalicamente (per caso s’è capito che a me sto ragazzino non piace granché?!)
Pellicola che comunque non riesce a coinvolgere - lasciando grossi buchi - sui due fulcri principali della questione: perché si inizia e ci si droga fino all’inverosimile e come si può arginare il fenomeno (sia in ottica cura della dipendenza che in quella che dovrebbe prevenire fabbricazione e smercio).
I “contagiati” dalle droghe sono ricchi, poveri, disadattati o ragazzi modello, certo dove circola più money viene meglio, poi c’è chi si contiene, chi si barcamena, chi ci lavora e chi ci fa carriera...
ma di “beautiful boy” che perdono il senso della misura è pieno il mondo, e la cronaca nera anche, perché per uno che si salva, con cure e assistenza che troppo spesso pochi possono permettersi, tanti invece muoiono, senza nessun film a celebrarne le traversie.
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