Regia di Julian Schnabel vedi scheda film
At Eternity’s gate (Usa, 2018) di Jiulian Schnabel
Al suo ottavo film, il regista che è anche pittore, realizza forse la sua opera più compiuta nonché una delle migliori presentate alla 75esima Mostra del cinema di Venezia. Il film ci racconta in modo molto personale gli ultimi anni di vita di van Gogh: Vincent è un pittore che vive grazie ai denari del fratello, è sempre alla ricerca della verità e della luce per i suoi dipinti, che sono immersi nella natura. La sua mente però inizia a cedere sempre più, fino al tragico finale.
Il regista sceglie di partire dall’assunto che il grande pittore non si sia suicidato, bensì sia stato ucciso quasi per scherzo da due ragazzi. É una presa di posizione già di per sé interessante, ma quello che interessa e stupisce del film è il suo voler essere un non-biopic, non c’è nulla degli stereotipi del “genere”.
Il film fluisce tra immagini incredibili della natura, quasi tutte viste attraverso la soggettiva del protagonista, per cui con colori anche diversi, sfumati. La soggettiva, l’uso della macchina a mano e una fotografia incredibile rendono il film una vera opera cinematografica, dove lo spessore del personaggio (raccontato attraverso la sua arte) va di pari passo con la grandiosità delle immagini, che lo stesso pittore dipingeva.
L’arte di van Gogh, che è uno dei pittori più analizzati sul grande schermo, viene raccontata e mostrata soprattutto, come la sua essenza complessa, sfuggente e pericolosa, attraverso gli incontri (con Gauguin in primis) e i monologhi.
Il regista sceglie di raccontarci la faccia più dolente di un'artista che si è sempre sentito fuori dal suo tempo. C’è un qualcosa di cristologico nella figura dipinta dal regista-pittore Schnabel, il suo voler mostrare agli altri (che non possono capire) una via e una vita diversa, attraverso una luce e una prospettiva nuova, è un profeta che non viene ascoltato.
Le musiche della Lisokvaia sono ottime e riescono, insieme ad un uso del suono mirabile, a seguire passo-passo la via-crucis di questo immenso artista.
Infine: il cast è eccelso, ma Dafoe offre probabilmente la più grande interpretazione della vita (insieme a quella di Jesù de “L’ultima tentazione di cristo”) e riesce a reggere la complessità del personaggio, ci trasporta nel suo universo fatto di visioni e sofferenza, fatto di paure e follia, ma soprattutto di una luce che porta all’infinito.
Un cinema per pochi sicuramente, ma un cinema dove l’immagine prima pittorica e poi cinematografica si fondono per rendere omaggio alla grandiosità di un’artista e all’importanza della luce.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta