Regia di Neil Jordan vedi scheda film
Ci vuole del tempo per conoscere e capire una persona. In questa fase iniziale di un rapporto, non c’è altra scelta che fidarsi della controparte, anche se, a tutti gli effetti, non è altro che un perfetto sconosciuto.
Per quelle persone che hanno la tendenza ad affezionarsi rapidamente e un vuoto da colmare, le forme di autodifesa tendono drasticamente ad abbassarsi, tanto da rischiare di ritrovarsi invischiati in una dinamica che, dalla parvenza innocente, si trasforma in una brutta esperienza.
Così, quando diventa tutto chiaro, è ormai troppo tardi per staccare la spina senza accusare delle ricadute, anche pesanti.
Da poco trasferitasi dal Massachusetts a Manhattan per lavorare come cameriera, la giovane Frances (Chloe Grace Moretz) s’imbatte in una borsetta dispersa, che la porta a conoscere la proprietaria, la solitaria Greta Hideg (Isabelle Huppert), con la quale intraprende una frequentazione costante.
Quando le attenzioni di quest’ultima diventano pressanti e morbose, Frances, su consiglio dell’amica Erica (Maika Monroe), decide di tagliare i ponti del loro legame.
Purtroppo per lei, nonostante le molteplici misure intraprese, Greta non ha alcuna intenzione di lasciarla in pace, determinata com’è a condurre in porto un piano che ha già perseguito con altre ragazze.
Con Greta, il regista e sceneggiatore irlandese Neil Jordan (La moglie del soldato, Michael Collins) parte con passo blando, quasi compassato, e utilizza come leva un incontro in apparenza fortuito e senza secondi fini per poi addentrarsi nel prototipo di un rapporto malsano, che sprigiona insospettabili ossessioni.
Trattasi di un film dalla superficie scivolosa, con una suspense intermittente, per quanto in graduale estensione, e fondamenta scricchiolanti, dalla tenuta instabile e frettoloso nel collegamento degli snodi principali.
Contemporaneamente, oltrepassa il senso del ridicolo in svariate circostanze senza battere ciglio, ma riesce comunque ad assumere una morfologia minacciosa, componendo un profilo che gli consente di entrare nel solco del classico rapporto tra vittima e carnefice, con note positive principalmente riscontrabili nel dualismo tra incubo e realtà.
Questo dispositivo è avvalorato dal sinistro magnetismo di Isabelle Huppert, che surclassa, in un evidente mismatch, le smorfie sgomente di Chloe Grace Moretz, mentre Maika Monroe occupa una postazione di rincalzo e non può mancare Stephen Rea (il suo ruolo è infilato a spintoni ed è tutt’altro che essenziale), autentico feticcio del regista (la loro fruttifera collaborazione parte dai primissimi anni ottanta, con Angel e In compagnia dei lupi, fino ad arrivare al 2010 con Ondine - Il segreto del mare).
Insomma, Greta è un oggetto sbilenco ma dotato di fascino e mestiere, esagitato ma capace di piazzare picconate percussive, con difetti in bella vista che non gli impediscono di andare dritto per la sua strada, accantonando la logica ragionata, in una sfida al buon senso che sostiene in virtù di una strenua fedeltà all’intonazione scelta.
Vacillante e malsano, impreziosito dall’elegante scocca calibrata da Seamus McGarvey (Animali notturni), il direttore della fotografia.
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