Regia di Sergio Corbucci vedi scheda film
Tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio dei Settanta, ambientare un film western in Messico significava parlare della rivoluzione. I western d'ambientazione statunitense mostravano generalmente personaggi intenti a conquistare la cosiddetta frontiera, a sterminare indiani e bisonti, a stabilire il predominio di un governo centrale e di una Legge su territori geograficamente lontanissimi, talvolta a combattersi tra azzurri e grigi per decidere cosa fare degli schiavi di colore.
Il Messico era terra di sfruttamento e vessazione, ma anche di grande libertà immaginativa, perché i suoi ampi, assolati e polverosi territori si prestavano alle lotte tra eroi popolari e rappresentanti di un potere lontano, pigro e male organizzato, burocraticamente figlio degli Spagnoli, che se n'erano andati lasciando un paese miserabile, disorganizzato e facile preda di avventurieri senza scrupoli.
Il Mercenario si inserisce in questo contesto, cercando di riprendere le parole d'ordine di film come Quien sabe? (1966), ibridandolo con le trame leonine e con un personaggio come quello di Django (1966), dello stesso Corbucci e con Franco Nero protagonista.
Mancando tuttavia attori carismatici come Tomas Milian, Lou Castel o, meglio ancora, Gian Maria Volonté, il regista si deve affidare a Tony Musante e a Giovanna Ralli ed onestamente non è la stessa cosa.
Il messaggio ne risulta annacquato, mentre la componente picaresca non è sufficiente a sopperire alle carenze per così dire "politiche". Alla fine ne esce un film con qualche dose d'avventura, ma che scorre via senza sussulti né brividi. Perfino la violenza di cui si parla in alcune recensioni d'epoca è confinata fuori campo.
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