Regia di Florestano Vancini vedi scheda film
Durante la gara ciclistica della Sei giorni un medico sportivo viene tampinato da una ragazza con cui ebbe una fugace relazione l'anno precedente. La giovane è tornata per avvertirlo che nel frattempo ha avuto un figlio da lui, ma l'uomo la respinge in ogni modo.
Questo La baraonda – sottotitolo Passioni popolari – è un buon esperimento di rimescolamento tra generi cinematografici effettuato da un insospettabile Florestano Vancini, principalmente noto per le sue pellicole di impegno civile. Qui di impegno ce n'è davvero poco, in realtà, e l'impianto di base è quello della commedia, sponda rosa-popolare, con l'incontro tra un maturo dottore e una ragazzina che ebbero un'avventura estiva l'anno precedente sulle spiagge della Romagna. Ma ora siamo a Milano, d'inverno, sul posto di lavoro dell'integerrimo medico, e per le rivendicazioni della giovane, nel frattempo diventata madre proprio per via di quell'avventura estiva, non c'è spazio alcuno. Almeno in apparenza. Ben presto l'opera sfiora i toni del melodramma e si chiude, con un crescendo malinconico, in maniera persino drammatica. Nel frattempo in sottotraccia e sullo sfondo di un evento sportivo di notevole rilevanza, la Sei giorni (non mancano infatti le scene di corse ciclistiche), scorrono le disavventure semiserie di alcuni personaggi. Tra essi compaiono due attori che avrebbero segnato la comicità nostrana negli anni successivi: Francesco Salvi (dettaglio bizzarro: il protagonista – ruolo che spetta a Giuliano Gemma – è quasi suo omonimo: si chiama infatti Federico Salvi) e Andrea Roncato, nonché in una particina anche Guido Nicheli, doppiato tra l'altro con un forte accento milanese sostanzialmente identico al suo originale (ma del resto il suo personaggio del cumenda ancora era di là dall'essere noto al grande pubblico). La protagonista femminile è invece Edy Angelillo, alle prime armi sul set ma sufficientemente in parte; sceneggiatura di Lucio Manlio Battistrada e del regista, da un soggetto di questi due e di Massimo De Rita. 4,5/10.
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