Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Devo dire che ero un po’ prevenuto: mi aspettavo una trasposizione corretta, ma non particolarmente personale. Invece Buñuel reinventa il romanzo della Brönte: anzitutto taglia tutta la prima parte, cominciando dal ritorno di Alejandro adulto (in altri casi, come l’orrido Ritratto di signora della Campion, una scelta simile mi aveva infastidito, ma qui ha un perché: è come se la storia fosse data per nota e si potesse giocare con gli stereotipi romantici); poi inserisce un finale alla Romeo e Giulietta, unendo gli amanti nella morte come lo erano stati in vita. Un melodramma puro, che estremizza i sentimenti e li confonde in un groviglio inestricabile di amore e odio: non teme di rendere sgradevoli i personaggi insinuando dubbi sui moventi delle loro azioni (Catalina non ha sposato Alejandro quando era povero, preferendo un matrimonio di convenienza; Isabel se ne innamora ora che è ricco, mentre prima lo disprezzava), e li fa comportare in modo così brutale da risultare addirittura comici (es. Alejandro si pulisce la bocca baciata da Isabel subito dopo il matrimonio). Prende un’altra strada rispetto al Wyler di La voce nella tempesta, ma arriva alla stessa destinazione.
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