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Last Child

Regia di Dong-seok Shin vedi scheda film

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La recensione su Last Child

di supadany
7 stelle

Far East Film Festival 20 – Udine.

Il lutto derivante dalla morte di un figlio segna indelebilmente una famiglia, trasformandola in una landa desolata. Come prima conseguenza, il rapporto tra marito e moglie è sottoposto alla prova peggiore che si possa immaginare, con un logoramento ingestibile che toglie le forze e crea un asfissiante senso di vuoto.

Per andare avanti, occorre individuare una nuova prospettiva, ma anche riuscendo in quella che già è una piccola impresa, i demoni interiori rimangono in agguato, pronti a presentare una nuova prova, tale da riaprire una ferita mai completamente rimarginabile.

La vita di Sungcheol (Choi Moo-Seong) e Misook (Kim Yeo-jin) è stata sconvolta dalla morte del figlio, annegato nel tentativo – riuscito – di salvare il suo amico Kihyun (Seong Yu-bin) dalle acque di un fiume.

Quando Suncheol scopre che il ragazzo vive in una condizione d’indigenza, cerca di aiutarlo offrendogli un lavoro nella sua impresa edile, mentre sua moglie, in principio riluttante, gli si affeziona gradatamente, trovando un parziale conforto che lenisce la sua disperazione.

Pertanto, raggiungono un nuovo equilibrio, destinato però a interrompersi bruscamente, visto l’emergere di nuovi dettagli sul tragico fatto che ha cambiato radicalmente le loro vite.

 

scena

Last Child (2018): scena

 

Last child è un dramma d’autore dai fondamentali nitidi, frutto della presa di coscienza della lezione dardenniana, assumendo come riferimento primario Il figlio, con il quale ha più di un punto in comune. Stilisticamente è puntuale e accorto, quasi del tutto privo di colonna sonora (al punto che viene da chiedersi il perché dei pochi minuti presenti), mentre nell’esposizione trattiene la fuoriuscita delle emozioni, scavando nelle viscere di anima e cuore.

Contemporaneamente, è cristallino nel far percepire le sfumature di un dramma che si trasforma senza scomparire. Una sofferenza perpetua che traccia distanze incolmabili, con una verità anelata quantunque venirne a conoscenza possa produrre nuovi scossoni emotivi, il perdono terribilmente prossimo a un dirupo privo di appigli e l’evidenza accantonata, anche con un certo imbarazzo.

Una mappatura del dolore, tra smarrimenti e illusorie speranze, con la disperazione manifestata con pudore e in sporadici casi urlandola ai quattro venti, seguendo un itinerario che conduce verso un’ultima mezz’ora più esposta, durante la quale l’intensità cresce e i dilemmi non sono più procrastinabili, mentre contemporaneamente il contorno acquisisce maggiore vigore, con le persone cosiddette per bene che, di fronte all’interesse familiare, preferiscono omettere sinistre verità.      

Doti che fanno di Last child un’opera coesa, con silenzi rumorosi e quasi nessuna propensione alla lacrima facile, giusto un pelo più sguaiata nella parte finale, avendo peraltro in precedenza una scena fortemente simbolica, che si prestava perfettamente all’uopo: Misook abbassa la serranda della sua attività, con visuale dall’interno del locale, come a voler chiudere definitivamente la porta con vista sul passato.

Asciutto e oculato, con qualche smagliatura, comunque non determinante.

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