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Mission: Impossible - Fallout

Regia di Christopher McQuarrie vedi scheda film

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La recensione su Mission: Impossible - Fallout

di lussemburgo
8 stelle

È da prendere alla lettera il titolo del nuovo Mission: Impossible: Fallout sono infatti le ricadute radioattive, con l’ovvio riferimento al soggetto principale della componente d’azione dell’intreccio; ma sono anche delle conseguenze personali perché è sulle ricadute individuali dell’impegno nell’IMF che è costruito il plot principale del film che, per la prima volta, si polarizza sui dubbi e sui dilemmi privati di Ethan Hunt. Fallout si apre addirittura all’inconscio dell’agente con ben due sequenze oniriche (con la prima delle quali il film parte) e l’innesco della trama basato sulla necessità di salvare i colleghi a scapito del buon esito della missione.

Dall’intervento di Abrams in poi, rimasto anche come co-produttore con la Bad Robot, le vicende dell’agente della Mission Impossible Force si sono fatte più introspettive per l’introduzione della variante amorosa (la moglie in pericolo) e con il recupero della struttura di squadra, in precedenza cancellata ex-abrupto sin dalla prima sequenza del film di De Palma: la variazione porta, pertanto, ad una rete di affetti che affianca l’eroe, non più assoluto protagonista, aprendo così una falla nel suo distacco e scoprendo un punto debole che avversari (e sceneggiatori) possono sfruttare per complicare la vicenda.

La serializzazione impressa a partire dal III episodio, dopo le vicende autoconclusive dei primi due, si approfondisce qui portando a compimento il percorso, iniziato allora e proseguito con i successivi capitoli (che si sono dotati di sottotitolo specifico al posto della numerazione progressiva), con la prosecuzione logica e diretta delle vicende di Rogue Nation: il ritorno dell’agente dell’MI6 Ilsa e della nemesi di turno, che troviamo potenziata da un nuovo alleato. Il dilemma della salvaguardia degli affetti, inoltre, si sviluppa e prosegue anche nel personaggio di Rebecca Ferguson che deve agire contro l’IMF per sabotarne la missione volendo, però, non mettere a repentaglio la vita degli ex-compagni. In questo film il rapporto sentimentale principale di Hunt viene definitivamente traslato, con un generale beneplacito, dalla moglie all’amante, da Julia ad Ilsa, la cui relazione con Hunt viene svelata, sebbene sia rimasta tra le maglie dello iato temporale tra i due film.

A questo nodo melodrammatico e amoroso il film soprappone una trama di inseguimenti e fughe, costruita su finzioni e trappole, personificazioni e inganni, in parte rivalutando la componente da heist-movie della serie televisiva originale (fitte trappole tese a raggirare colpevoli vari) e l’immancabile uso della maschera facciale, ormai un irrinunciabile gimmick. A questi elementi base si aggiunge l’infiltrazione degli apparati governativi e il rapporto ravvicinato (sempre deleterio, come in Protocollo Fantasma) con il Segretario di Stato (Alec Baldwin imbaldanzito dal ritorno all’action, come un Jack Ryan in pensione), elemento politico degno di 24 e entrato a far parte degli ingranaggi dei film, l’IMF o Hunt essendo sempre in procinto di essere smantellati o uccisi sin dal prototipo, la cui eco si ritrova anche nel tentativo di addossare il tradimento allo stesso agente. In effetti, Fallout sembra ricapitolare le cinque precedenti pellicole per temi, personaggi o ambientazione [Londra (MI:1), la pratica del free climbing (M:I 2), la presenza della moglie (M:I 3 e 4), del nemico Salomon Lane (M:I 5) e della squadra (tra cui Vingh Rhames, che proviene dal primo film] e, conseguentemente, avviare il franchise Mission: Impossible verso una svolta, ancora da definire.

Per la prima volta alla regia siede un veterano, mentre era consuetudine cambiare regista per puntata. Il fido McQuarrie, già con Cruise ai comandi del primo Jack Reacher (nonché co-sceneggiatore di Operazione Valchiria, di Edge of Tomorrow e della Mummia), costruisce un perfetto veicolo divistico, con grandiose scene d’azione e stasi di approfondimento per lo più costruite sui primi piani dell’attore, mentre continua nella conferma che il tipico film di Cruise è costituito da un corpo in fuga e sotto stress. Il regista è, però, anche molto attento alla composizione dell’inquadratura, che pare pensata per la stereoscopia con prospettive naturali reiterate e spettacolari piani generali con profondità di campo, un’articolazione del montaggio non frenetica (e l’uso consapevole di un piano-sequenza aereo fittizio) e una certa ironia nell’utilizzo della ripetizione, di battute in sceneggiatura, di inquadrature in ripresa e di personaggi che si passano la colpa a turno.

Mastodontico nella durata (150’), il film scorre però leggero sulle inverosimiglianze assunte della trama, sulla riconoscibilità dei personaggi noti (a parte Cavill, il neo Superman in versione ripulitore della Cia dopo essere stato la spia americana Napoleon Solo in Operazione U.N.K.L.E., ruolo già offerto a Cruise e declinato per fare M:I 5) e sulla serializzazione spinta di un assunto televisivo ormai completamene cinematografico e identificato con il suo protagonista perenne, quell’inossidabile attore che vola tra macchine, edifici o montagne spesso senza controfigura (qui si è rotto la caviglia) per assicurare agli spettatori che il suo impegno è sempre serio e la dedizione totale.

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