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Cielo di piombo, ispettore Callaghan

Regia di James Fargo vedi scheda film

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La recensione su Cielo di piombo, ispettore Callaghan

di scapigliato
6 stelle

Il terzo episodio della serie sull’Ispettore Callahan perde i colpi rispetto i primi due film. Ovviamente Siegel, e anche Ted Post, avevano perlustrato con interesse autoriale sia i contenuti che la forma, regalandoci due film di grandissimo impatto visivo ed emotivo. In Callahan 3 tutto si ripete, ma a salvarsi è solo Clint Eastwood. Il suo volto ormai è un’icona, è il simbolo, il segno di una poetica, di un’intenzione autoriale inconfondibile. É James Fargo qui a dirigere, e in sceneggiatura non ci sono nomi di talento. Il risultato è un film americano che si sta avviando verso gli ’80, quando armi e gruppi paramilitari diventeranono il paradigma repubblicano di una precisa coscienza nazionale. Con questo terzo capitolo entrano in gioco i movimenti rivoluzionari, il popolo e la chiesa cattolica, ma è tutto un bluff. Lo stesso film lo mette per iscritto, e poi in bocca, a Clint Eastwood e soprattutto ad Albert Popwell, volto noto della serie, che afferma che “quelli”, ce l’ha con i cattivoni di turno, non hanno nulla a che vedere con i movimenti popolari, non li interessa l’ideologia e la politica, ma solo i soldi. In seguito salta fuori un prete cattolico che proteggeva i criminali, e qui non si capisce bene da che parte si vuole far pendere la bilancia. Ma ci pensa Callahan a mettere tutto in chiaro. Con i suoi metodi sbrigativi fa parlare chi deve parlare, si fa dire ciò che vuole sapere, e colpisce là dove sa che deve colpire. In “The Enfocer” non c’è il marcio della polizia, non ci sono vigilantes fanatici, non c’è un killer psicpoatico, ma solo uomini assetati di sangue e di denaro che si impossessano impropriamente di istanze rivoluzionarie e popolari. La posizione di Callahan è la stessa di sempre, in questo non invecchia né arretra di un centimetro: un criminale è sempre un criminale, e non c’è azione armata giustificabile. Forse questo è il primo episodio davvero repubblicano della serie, dove chi si mette contro l’istituzione può solo fare una brutta fine. Ma è, poi, la stessa istituzione che vive delle menzogne dell’immagine, della bella faccia, dei conformismi e dell’ipocrisia: la rabbia di Callahan davanti ai giochetti subdoli e viscidi di sindaco e capi di polizia quando c’è di mezzo la tv e l’opinione pubblica, è una rabbia maggiore di quella provata verso i terroristi. A questi infatti è lasciato un ruolo marginale nel film. L’azione si concentra sulle infamie dei ranghi alti, a loro, ai terroristi, sono dedicati solo pochi minuti sul finale, quando periscono rapidamente senza cure e attenzioni particolarti. Tra l’altro il film si chiude sulle ancora inutili parole del capo della polizia che arriva in elicottero sull’isola di Alcatraz, teatro dello scontro finale, a ripadire e ricordarci come fosse centrale, nell’economia del film, il ruolo dell’istituzione. Ma poco prima, una scena rivelatrice ci ricorda la vera pasta del temuto Dirty Harry. Il sindaco, appena liberato dai terroristi, lo vorrebbe encomiare e immischiare nei loro red carpet e ipocrisie varie. Callahan è visibilmente schifato. Mentre un personaggio repubblicano avrebbe abbracciato il sindaco con affetto, e un personaggio democratico lo avrebbe riempito di insulti e di patetiche frasi “americane”, il nichilista Callahan non dice nulla, lo fulmina con lo sguardo, ne ha schifo e lo ripudia. Gli piazza in mano il bazooca usato per liberarlo, e gli volta le spalle. Callahan ha l’ennesimo compagno di pattuglia da piangere.

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