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Roma bene

Regia di Carlo Lizzani vedi scheda film

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La recensione su Roma bene

di alan smithee
6 stelle

Nella Roma benestante ed aristocratica arroccata su se stessa e su radici nobiliari o papali che attribuiscono agli ultimi capostipiti, diritti e privilegi tutt'altro che legittimi o meritati, tra feste e baldorie nei salotti di ville ove non mancano furti e ruberie, perpetrate dagli stessi ai danni di loro simili, ma incolpando la gleba ignara ed innocente, oltre che impossibilitata a difendersi, assistiamo ad una fiera del cattivo gusto tra cui è costretto a districarsi con distaccato ed erudito umorismo l'ironico commissario Quintilio Tartamella (Nino Manfredi).

Senta Berger

Roma bene (1972): Senta Berger

Michèle Mercier

Roma bene (1972): Michèle Mercier

Un uomo intelligente ma anche consapevole dello stato dei fatti, costretto suo malgrado a stare al gioco assecondando i capricci di quella comunità viziata ed esibizionista, a cui una sorta di giustizia divina che è impossibile non assecondare, assegna una agonia finale che tutto può dirsi se non meritata come in una sorta di contrappasso dantesco.

Scritto da Luciano Vincenzoni, Nicola Badalucco e Carlo Lizzani adattando la pièce Mani aperte sull'acqua di Luigi Bruno Di Belmonte, Roma bene sfodera in cast di primo piano che annovera, oltre al già citato Manfredi che fa da corollario, più che da protagonista, alla vicenda, Virma Lisi, Philippe Leroy, Irene Papas, Umberto Orsini, Senta Berger, Franco Fabrizi, Michèle Mercier, Vittorio Caprioli, Gastone Moschin, Nora Ricci e, nel ruolo praticamente di se stesso, pure il playboy Gigi Rizzi, e ci trascina di festa in festa fino ad un finale alla “Open water” che fa nascere il dubbio concreto che gli autori della serie horror marina si siano ispirati a questa ultima inquietante soluzione finale del film, a cui la pièce teatrale rimanda apertamente già dal titolo.

Philippe Leroy

Roma bene (1972): Philippe Leroy

Il film appare godibile, accattivante, pervaso da un sin troppo marcato macchiettismo nel dipingere le oscenità dei personaggi degni anticipatori, in un certo senso, della decadenza romana descritta in modo altrettanto sopra le righe, ma con più classe e verve di regia, da Paolo Sorrentino ne La grande bellezza.

 

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