Regia di Carlo Lizzani vedi scheda film
Comedy-drama, di costume a tinte forti. Feroce satira dell'indimenticabile maestro LIzzani
Intorno e dentro al salotto romano della duchessa Silvia Santi, la fulgida Virna Lisi, moglie dell'industriale Giorgio Santi, si muovono alcuni dei personaggi più in vista dell'aristocrazia, della finanza, della politica e del clero; sotto una patina perbenista, s’intrecciano storie di tradimenti, imbrogli e corruzione. Sotto gli occhi vigili del sornione commissario, Nino Manfredi, accompagnato dal fedele agente Cannavale, al quale dispensa pillole di saggezza e sagaci terzine Dantesche, scorrono le vicende di questi blasonati personaggi.” Mi fanno pena organizzano tante feste ma non si divertono mai.” Lo spiantato barone De Vittis alias Vittorio Caprioli, nel corso di un party in casa Santi, scippa durante un ballo, dall’orecchio della padrona di casa un prezioso orecchino che poi ingoia, ma siccome è un irrecuperabile recidivo, viene immediatamente individuato dal solerte poliziotto e costretto a “defecare” il gioiello tramite purgante, stile ventennio; gli dice la duchessa” perché non ti metti a lavorare?” Lavorare che volgarità” risponde lui convinto. Mino Rappi, alias Fabrizi, uno squallido arrampicatore sociale, per ingraziarsi l'industriale Santi, lo accompagna in una casa di appuntamenti, dove incontra però la moglie, che è lì per esercitare l’antico mestiere, la quale invece di schermirsi, spudoratamente lo attacca, accusandolo di essere un ruffiano puttaniere, e lui da pover’uomo qual è, subisce, non riuscendo a capire il ruolo evidente della consorte, mentre il Santi diabolicamente gongola, sapendo tutto; invita il Rappi in una meravigliosa magione e lo costringe a seguirlo in un tour de force sportivo, tra padel, jogging, saune e prostitute servite su di un mega vassoio a colazione, quando decide di concedergli l’agognato finanziamento, Mino, reduce da questi sforzi, cui non è abituato, muore d'infarto. Silvia Santi, per estorcere al marito una bella somma, s’inventa un finto rapimento dei figli, ma sgamata da Manfredi minimizza il fatto, con la compiacenza del marito, cui per farsi perdonare promette il gioco ”buco mio, buco tuo ”dunque nessuna complicazione giudiziaria; la principessa Dedè Marescalchi, la stupenda Senta Bergen, guidata dal consorte, si prostituisce a importanti uomini politici per carpirne favori, ma fallisce con un uomo che, al contrario, mostra attenzioni per suo marito, che comunque non si sottrae. Elena Teopulos, moglie di un ricchissimo armatore greco e amante di uno smaliziato monsignore, riesce, dopo grotteschi tentativi, a far fuori il marito “voglio distruggere il matrimonio, non il patrimonio” dice alla madre che le aveva consigliato il divorzio. Tuttavia, grazie alle sue amicizie: Cia, Vaticano, Ambasciata, Prefettura e uno stuolo di pagatissimi avvocati, dribbla alla grande, l’incriminazione, mentre il commissario di polizia troppo zelante nello svolgere le sue indagini, sarà messo fuori gioco, con una promozione e col relativo trasferimento. Spietato e caricaturale ritratto dell’aristocrazia romana, che sguazza negli stravizi, tra fatue feste mondane, tradimenti, ricatti e intrallazzi di ogni tipo. Carlo Lizzani ci va giù pesante, strizzando un occhio a Pietro Germi di “Signore & signori” e un altro al Fellini della “Dolce vita”, descrive un microcosmo di personaggi meschini e amorali che, per una sorta di contrappasso, andrà incontro ad un tragico e inaspettato finale. Una sorta di “Grande bellezza” quarantadue anni prima, ma più caustico e cattivo. Il tono rimbalza tra farsa, denuncia sociale, noir e comedy-drama, di costume a tinte forti; il film è un tantino disarticolato, ma efficace. Cast di grandi star dell’epoca e attrici da togliere il fiato: Virna Lisi, Senta Berger, Michele Mercier, Irene Papas, Minnie Minoprio.
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