Regia di John Sayles vedi scheda film
In un vecchio poligono di tiro del Texas vengono alla luce un teschio umano, un anello massonico e una stella di latta: forse appartengono all’ex sceriffo Charlie Wade, corrotto e violento (tutti ricordano ancora come uccise a sangue freddo Eladio Cruz, che aiutava gli immigrati clandestini a passare la frontiera), scomparso improvvisamente quarant’anni prima, subito dopo uno scontro verbale con il suo vice Buddy Deeds. Poi Buddy aveva preso il suo posto, benvoluto da (quasi) tutti, e ora i notabili locali hanno fatto eleggere sceriffo il figlio Sam; ma la scoperta rischia di sconvolgere gli equilibri della cittadina, con una minoranza dominante wasp, una maggioranza di messicani divisi fra servi e integrati, una piccola comunità di neri e una presenza residuale di indiani. Un film sontuoso, magnifico, che si apprezza ancora più a una seconda visione. Grandissimo Sayles, che racconta un western contemporaneo riuscendo a nascondere fino alla fine la sua vera intenzione: riscrivere L’uomo che uccise Liberty Valance (“Il tempo passava, e alla gente la nostra storia piaceva più di quanto le sarebbe mai piaciuta la verità”) demistificando la cattiva coscienza dell’America, che “non riesce mai ad accettare del tutto il suo passato, se non ignorandolo o idealizzandolo” (Morandini). Ma grandissimo Sayles anche a livello tecnico, per il modo in cui organizza la narrazione (interamente di sua responsabilità, essendo sceneggiatore, regista e montatore): dialoghi fra vecchi che non dicono e giovani che non sanno, presente e passato che sfumano insensibilmente l’uno nell’altro, perché la storia si ripete e le colpe dei padri ricadono sui figli. Per capire fino a che punto ciò sia vero bisogna aspettare l’ultima scena in un drive in dismesso, dove il ragazzo e la ragazza che si erano amati si ritrovano adulti, dopo che la vita li aveva allontanati, e decidono di dimenticare Alamo.
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