Regia di John Sayles vedi scheda film
«Allora, qual è il tema che hai scelto per la tua tesi di ricerca?»
«Il cinema indipendente americano.»
«Cavolo, interessante. E quindi ti occuperai anche di John Sayles?»
«Chi?»
- Dialogo fra me e un neo-dottorando in cinema
John Sayles è probabilmente, assieme a Gus Van Sant, il più importante tra i registi indipendenti americani. Inversamente , la sua fama – almeno qui da noi in Italia – è ignota e sotterranea. Forse perché il suo cinema, così rigoroso, non possiede proprio nulla di ammiccante. Ben lontano dai famigerati modelli “indie” – così colorati, così simpatici, così vuoti – che ormai sono divenuti marchio di fabbrica, prodotti per uso e consumo – e consequenziale “cestinamento” -, Sayles ha portato avanti, dagli anni Ottanta ad oggi, con caparbietà e testardaggine, un tipo di cinema profondamente diverso, troppo spesso ignorato. Un cinema interessato in primis agli Stati Uniti, alla loro anima multiculturale e multietnica, alle contraddizioni della loro storia. Un cinema delle “differenze”, che rifugge qualunque tipo di banalità, per addentrarsi impietoso nel sociale, per evidenziarne gli aspetti spesso più scomodi e inquietanti.
Stella solitaria è il capolavoro indiscusso del regista. Il film in cui l’interesse radiografico per le tematiche sociali e l’integrazione razziale si intrecciano perfettamente coi dubbi riguardanti l’autenticità della Storia (quella “ufficiale”), condensandosi in un unico, grandioso ed impegnativo film. Stella solitaria è la storia di Sam Deeds, giovane sceriffo che vuole indagare sul passato del padre, Buddy, sorta di eroe della piccola comunità texana, al confine con il Messico. A spingerlo in tale impresa è il ritrovamento del cadavere di Charlie Wade, sceriffo razzista e avversario “morale” del padre di Sam.
Il modello di Sayles è quello fordiano de L’uomo che uccise Liberty Valance, ma Stella solitaria va al di là del western, superando il principio stesso di “genere”. Piuttosto, il film riunisce in sé modelli estetici e soluzioni linguistiche eterogenee – che possono anche depistarne la fruizione – finalizzandole unicamente al proprio, grande racconto. Ed è all’interno di questo racconto che, soluzioni anche inusuali e movimenti di camera marcati, trovano sempre il proprio scopo. Da segnalare, sicuramente, l’uso spesso extra-diegetico della macchina da presa, che, collegandosi idealmente e concettualmente al cinema di Angelopoulos, permette la convivenza, all’interno della singola inquadratura, di piani temporali differenti. Ciò serve a Sayles per costituire un unicum tra passato e presente, sottolineando, in tal modo, le relazioni, e intrecciando i destini dei suoi personaggi.
Sormontato da una notevole sceneggiatura - impegnativa nella mole e coraggiosa per la sua anti-spettacolarità -, Stella solitaria si colloca tra i grandi film americani degli anni Novanta: certamente, tra quelli che, con più lucidità e impressionante coerenza, riescono a raccontare gli snodi più oscuri e problematici della Storia americana.
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