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La terra dell'abbastanza

Regia di Damiano D'Innocenzo, Fabio D'Innocenzo vedi scheda film

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La recensione su La terra dell'abbastanza

di mck
8 stelle

Il Molise Non Esiste, ovvero: the Land of Scanty - Assuefazione ed Espiazione - Corollario a "Storia di Marco e Ciro (Gomorra)".

 

 

Premessa.

 
“Se è una scelta editoriale, mi pare discutibile. Se, invece, è una scelta politica, la capisco benissimo.” Così Enzo Biagi rispondeva indirettamente ad Agostino Saccà alla fine di gennaio 2002, quando l’allora direttore di Rai Uno preventivò un probabile spostamento de “il Fatto” ad altro orario ed altra rete rispetto a quello naturale in coda al TG1, ad esempio prima del TG3. Meno di 4 mesi dopo, i cani da riporto di Silvio Berlusconi, ovvero lo stesso Saccà, ora divenuto direttore generale della Rai, e Fabrizio Del Noce, che prese il suo posto a capo della rete ammiraglia del servizio pubblico, agirono di conseguenza all’emanazione dell’editto bulgaro del loro padrone e Saccà spedì a Biagi una raccomandata con ricevuta di ritorno contenente la disdetta del contratto con la Rai. Biagi, così, “scelse” di non rinnovare il contratto, e poté tornare a lavorare nell’azienda (con la quale aveva iniziato a collaborare all’inizio degli anni ‘60 diventando direttore del Telegiornale e dalla quale già si dimise nel ‘63: intervistò in prima serata Palmiro Togliatti, ma al ministero dell’Interno c’era Mario Scelba) solo 5 anni dopo, nella primavera del 2007, con le 7 puntate di “RT - RotoCalco TeleVisivo” (una sua creatura risalente al 1962). Morì quello stesso autunno, certo non aiutato dal lustro di esilio forzato e pieno di tensioni, battaglie ed ingiustizie.
Agostino Saccà, invece, è ancora vivo. E produce film con i figli Maria Grazia e Giuseppe tramite la loro Pepito Produzioni: un Paolo Franchi (“Dove Non Ho Mai Abitato”), due Gianni Amelio (“la Tenerezza” ed “Hammamet”) e due Damiano e Fabio D’Innocenzo (“la Terra dell’Abbastanza” e “Favolacce”). Li recensirò tutti, prima o poi, turandomi il naso. Il fatto... è che però, parlando di cinema, un prodotto audio-visivo, non posso chiudere gli occhi, e grazie alla presenza di stronzi fumanti, pur fuori scena, l’ipercacosmia impera.

«Abbiamo subìto un ventennio berlusconiano con dei valori probabilmente [¡sic!] sbagliati. Un ventennio di crisi morale ed etica molto forte, che oggi crea un gran senso di frustrazione.»   
Uno dei due D’Innocenzo (Fabio).

“Well, you say you're “woke”, but the companies you work for... I mean... Unbelievable. Apple, Amazon, Disney. If ISIS started a streaming service you'd call your agent, wouldn't you?”
("Bene, voi dite d’esservi “svegliati”, ma le compagnie per cui lavorate… Intendo… È incredibile. Apple, Amazon, Disney. Se l’ISIS aprisse una piattaforma streaming voi chiamereste il vostro agente, non è vero?")

Ricky Gervais – Dal discorso d’apertura della cerimonia di consegna dei Golden Globe 2020

 


Svolgimento.
 
Superato lo scoglio/iceberg/strano-bozzo-sul-collo-che-andrebbe-fatto-controllare del ponderato motivo scatenante la deriva degli eventi in gioco costruito sul fortuito incidente iniziale (ovvero: a volte basta una frase - «‘Mmazza ‘n quant’eravate! C’avevat’er pulmino?» - per dare il giusto innesco alla sospensione dell’incredulità), si profila all’orizzonte il film. Prima è un puntino all’orizzonte, poi pian piano cresce e scorre, avanzando con naturalezza nel panorama non certo desertico, ma quasi sgombro, diciamo libero, via, del cinema italiano di genere d’autore, e manco te ne accorgi ch’è già finito.

Variazione sul tema, epigono, pollone, pseudopodo: l’opera d’esordio - alla quale seguirà "Favolacce" - dei fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, da loro scritta, è sì un riciclo del già visto, ascoltato, “vissuto”, narrato, ma è anche un gran bel film che sa cosa vuol dire raccontare (al montaggio Marco Spoletini) e, nel mettere in scena la propria storia, lo fa con consapevolezza, cognizione di causa e financo sapienza, gestendo l’ora e mezza di sviluppo della trama con acutezza e una certa potenza (anche, a tratti, figurativa: e sui volti, e - fotografia di Paolo Carnera - attraverso un paio di carrellate laterali...), ripartendola fra una screziatura marezzata di accenni lirici (ma senza il carico di sfumature di belluria che costella “Gomorra - la Serie” e “Suburra”, film e serie) e uno sfondo di sincera, necessaria e costitutiva ruvidezza caligariana (per ragioni storiche, “l’Odore della Notte”, soprattutto).

Poi, il cast. Matteo Olivetti e Andrea Carpenzano, semi-esordienti, acerbi, praticamente perfetti e gestiti benissimo. Max Tortora (“Sulla Mia Pelle, “il Regno”), che dolcemente raccoglie tutto lo schifo del sotto-mondo di mezzo, quello vero, quello accanto, quello che ci pervade e che, sotto-proletari, chi più chi meno, andiamo a costituire, ogni giorno: a volte sfiorando il male, e qui sprofondandovi dentro, andando a costituire il peccato originale (e derivato atavicamente, bla-bla-bla), a volte accarezzando il bene. Milena Mancini (ex ballerina e attrice televisiva e teatrale, recentemente al cinema in “Il Più Grande Sogno”, e piccole parti in “Dov’è Mario?”, “Sole Cuore Amore”, “Ride”): eccezionale, punto. Luca Zingaretti in giusto sottotono o, meglio, sotto di un tono: e, per il carattere messo in scena, è - per l’appunto - la scelta azzeccata. Infine, menzione particolare e speciale per Giordano De Plano, in un piccolo, breve, secondario ruolo antinomico rispetto a quello recentemente portato in scena in “Liberi Tutti”, e per Michela De Rossi, brava qui come ne "i Topi" di Antonio Albanese.

Musiche di Toni Bruna. Co-producono: MiBACT, Regione Lazio e Rai Cinema. Produttore esecutivo: Ivan D’Ambrosio (“Cavalli”, “il Primo Incarico”). Distribuito da Adler Entertainment. Zona: Ponte di Nona.

 


Continuazione.
 
Il Molise Non Esiste, ovvero: the Land of Scanty - Assuefazione ed Espiazione - Corollario a: Storia di Marco e Ciro (“Gomorra” di Matteo Garrone - per il quale, con Chiti e Gaudioso, i due fratelli D'Innocenzo hanno collaborato alla stesura del soggetto di “DogMan” -, Roberto Saviano & Co., 2008).

Riuscire a scegliere, tra le due opzioni, vale a dire se “accettare l’inferno […] o saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio” (è Calvino che parla, dalle Città Invisibili, in esergo al press-book del film), quella giusta.

La Terra dell’Abbastanza” raccatta rigaglie, cascami e lacerti da altre opere cinematografiche, di altre cronache giornalistiche di nera e d’inchiesta, di altre vite di ragazzi, parafrasando PPP, per non citarlo a sproposito, che non è - ancora e giammai - il caso.

Ed ecco che… Taaac! “Una marginalità urbana [e] una periferia […] che sembrano quasi un Pasolini che incontra Tim Burton e Wes Anderson.” - Uno dei due D’Innocenzo (Fabio).
L’altro, Damiano, sembra chiaccherare meno.
Comunque, fate un piacere a tutti: state zitti, per favore, e fate film. Quello sembra riuscirvi bene.

E allora cito anch’io, a memoria, a braccio, a caso, probabilmente ricordando male e quindi inventando e riscrivendo: “Non ci tengo a conoscere le persone che stimo nella vita, in campo artistico: se dopo un primo scambio di battute scopro che sono degli idioti?” - Stanley Kubrick.

* * * ¾ - 7 ½                   

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