Regia di Damiano D'Innocenzo, Fabio D'Innocenzo vedi scheda film
Il peggior, inconsapevole, torto, che potevo fare ai Fratelli D’Innocenzo era quello di guardare il loro primo film, La terra dell’abbastanza dopo essere stata incantata da Favolacce. Entusiasta per la visione della loro ultima opera, ho voluto, con forte trasporto, recuperare la loro prima pellicola non sapendo che la delusione fosse dietro l’angolo.
Ovviamente non si fanno confronti tra un’opera e l’altra ma essendo stata la visione così ravvicinata (meno di 24 ore tra l’una e l’altra) certe riflessioni sono state quasi spontanee.
La terra dell’abbastanza risulta una pellicola priva di mordente, ancorata sulle ottime interpretazioni dei protagonisti che, seppur giovani e sconosciuti, non si risparmiano davanti alla macchina da presa. Manolo e Mirko, interpretati da Andrea Carpenzano e Matteo Olivetti, conducono vite simbiotiche, figli unici, o quasi, di famiglie scapestrate, cercano a tentoni la propria strada in un’esistenza vuota e scontata. Alle spalle hanno genitori spenti, abbandonati alla routine quotidiana, traghettati verso un destino becero che non hanno la forza di contrastare.
Mirko è figlio di Alessia, una donna che è ormai più madre, costretta a lavorare incessantemente per mantenere due figli ma che cerca di abbracciare una dignità perenne. Manolo è figlio di Danilo, un uomo fallito che vive in un garage e gioca alle macchinette sperando così di svoltare la sua vita finché non crede di vedere, nell’errore del figlio una via di fuga dall’inferno che in realtà, altro non è che l’entrata agli inferi più profondi. Alessia e Danilo sono interpretati in modo viscerale da Milena Mancini e Max Tortora che, pur comparendo sporadicamente, riescono a dare al film quel tocco di dolore necessario per renderlo, almeno in parte, indelebile.
Uomini e donne che altro non hanno se non un nome, che potrebbe essere di chiunque, lasciandoci libera identificazione. Vite comuni che non sono poi così lontane dalle nostre o da un chiunque che conosciamo sarà per questo che, ad un certo punto, la noia prende il sopravvento.
I Fratelli D’Innocenzo sembrano prendere un pezzo di Gomorra del loro maestro e mentore Matteo Garrone, in particolare lo specifico capitolo che riguarda Marco e Ciro, e ne fanno una rivisitazione per niente personale, che manca di fascino, che si trascina lenta, fino ad un finale violento ed improvviso che sembra essere l’unico tratto caratterizzante, punto comune con il suo successore, ed interessante dell’intera pellicola.
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