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La terra dell'abbastanza

Regia di Damiano D'Innocenzo, Fabio D'Innocenzo vedi scheda film

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La recensione su La terra dell'abbastanza

di alan smithee
6 stelle

FESTIVAL DI BERLINO 2018 - PANORAMA

Il senso di colpa e di tragedia che affligge l’onesto che si trasforma senza volere in assassino, muta in un sentimento antitetico di vanto e gloria da sfruttare a fin di lucro, quando si scopre che la persona investita non è un innocente qualunque, ma un pentito informatore della polizia, braccato dalle cosche del quartiere periferico romano che fa da sfondo alla vicenda.

Mirko e Manolo sono i due assassini dall’atteggiamento cangiante, che li trasforma da studenti ingenui ed innocenti come tanti, a spietati killers dal grilletto facile, merce sacrificale al soldo di uno spietato boss del mondo dello sfruttamento, dello spaccio, e dell’usura.

Alla sezione Panorama del festival di Berlino, La terra dell’abbastanza, lungometraggio d’esordio lucido e schietto dei gemelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, ha accentrato su di sé attenzioni e plausi.

L’argomento è forte, la trattazione lucida e realisticamente spietata, tutta incentrata a sondare il cambiamento di personalità che finisce per caratterizzare il nuovo status dei due ragazzi, spingendo ognuno a percorrere quel passo di troppo, sacrificale e segnato indelebilmente da tempo che spingerà entrambi verso il baratro più definitivo immaginabile.

I due fratelli registi azzeccano in particolare il cast, a partire dal già noto Andrea Carpenzano (Tutto quello che vuoi, Il permesso-48 ore fuori), all’esordiente dagli occhi abbaglianti Matteo Olivetti, mentre attori di razza come Max Tortora e Luca Zingaretti danno lustro senza prevaricare il resto delle parti e dei bravi attori coinvolti.

Con un titolo che travisa con triste ironia un detto popolare che promette esistenze di paradisi ubertosi e propizi da favola (oltre che un film di Wim Wenders) “La terra dell’abbastanza” si inserisce a pieno titolo nel filone migliore e più efficace, realistico del thriller nostrano aderente alla cruda realtà di cronaca legata al malaffare e ai traffici clandestini, alla malavita e delinquenza delle periferie cittadine delle grandi città.

La vicenda ci introduce in modo coinvolgente entro un baratro senza uscita, nella quale tutto corre e si evolve con dinamiche precise ma sin troppo rapide, correndo il rischio di sbandare anche solo a tratti quando si la storia impegna a costruire passaggi e mutazioni-maturazioni di caratteri, che si risolvono in azioni eccessivamente subitanee, o in svolte eccessivamente frettolose per apparire perfettamente coerenti con la situazione di fondo.

Inoltre assistiamo con sin troppa disinvoltura ad un passaggio di testimone tra i due personaggi principali, che ad un certo punto si scambiano il ruolo da protagonista con una disinvoltura che ci pare più una leggerezza di scrittura, che un artificio ardito.

La fine inesorabile del primo tra i due ragazzi avviene molto, troppo rapidamente risultando da un lato assai realistica, ma non in grado di essere percepita come converrebbe per esaltare la drammaticità della situazione.

Ciò non toglie che ci troviamo di fronte ad un esordio lucido ed importante, maturo nella sua imperfezione scomposta, coraggiosa, originale, che invoglia ad apprezzarlo maggiormente.

Splendido poi, quasi epico, quel finale azzeccatissimo ed originale incentrato sul ricordo che due tra i genitori mettono in atto tramite uno stratagemma “epidermico” che li aiuti a trovare conforto nell’indelebile ricordo dei figli: di certo uno dei momenti più forti e strazianti della validissima pellicola.

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