Regia di Davide Ferrario vedi scheda film
Con uno stile aggressivo alla Danny Boyle prima maniera, Davide Ferrario riesce nel piccolo miracolo di scattare una precisa fotografia della precarietà di un momento storico e di una turbolenta fase dell'esistenza, che anche rivista oltre vent'anni dopo conserva intatta la sua efficacia.
Tratto dall'omonimo romanzo di Giuseppe Culicchia, una storia di formazione nella Torino anni 90 che cattura perfettamente il senso di smarrimento che si prova da ventenni, quando non si sa che direzione imprimere alla propria esistenza e ci si sente sballottati da mille spinte contraddittorie. Con la crisi di Walter, Davide Ferrario riesce nel piccolo miracolo di scattare una precisa fotografia della precarietà di un momento storico e di una turbolenta fase dell'esistenza, che anche rivista oltre vent'anni dopo conserva intatta la sua efficacia. E così, tra temuta chiamata alla leva, servizio civile per l'integrazione dei Rom presso l'improbabile associazione C.A.N.E., una carriera universitaria che procede faticosamente, un lavoro che non appare nemmeno come prospettiva, rapporti contrastati con le ragazze, una verginità che non riesce o non vuole perdere, un rapporto conflittuale col padre operaio della FIAT, il rifugio rappresentato dalla zia protettiva e comprensiva, attraversiamo col disilluso protagonista una turbolenta fase di transizione, che magari ci ricorda la nostra se siamo già passati per quell'età e ci rammenta quel senso di trovarsi immobilizzati in una situazione di stallo in cui non ci si prospettano vie di fuga.
Opera che più che col cinema italiano trova assonanze col cinema britannico più innovativo di quello stesso periodo, quello ad esempio del primo Danny Boyle, con un montaggio sincopato, sequenze accelerate, inquadrature sghembe a sottolineare il senso di smarrimento del protagonista ed utilizzo à la Trainspotting della colonna sonora, qui composta da brani di band del rock indipendente italiano, principalmente i CCCP/CSI che compaiono anche come commissione d'esame universitario. Uno stile anticonvenzionale ed aggressivo al punto giusto, che ci regala persino un'esilarante corsa dietro il carro funebre della zia, come ultimo omaggio alla sua libertà di spirito.
Spicca anche un utilizzo intelligente delle location offertedalla città di Torino, dai portici di Via Po, ai casermoni di periferia, al Salone del Libro.
Ottima la prova del giovane Mastandrea, ininterrottamente in scena in un racconto incardinato sul suo punto di vista, che ben fa lo Ewan McGregor torinese dall'aria perennemente scoglionata.
Molto bravo anche Carlo Monni nel ruolo del papà operaio ispido ed amareggiato da una vita difficile, esilarante nella scena finale con l'armadillo (“Guarda che animali stronzi c'è in circolazione in questo momento storico!”). Oltre alla zia Caterina Caselli, ci sono anche brevi apparizioni delle allora semisconosciute Luciana Litizzetto e Vladimir Luxuria.
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