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Tutti giù per terra

Regia di Davide Ferrario vedi scheda film

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La recensione su Tutti giù per terra

di maurizio73
6 stelle

Walter è uno svagato ventenne che si divide tra il menage conflittuale con i genitori, una vita da svogliato e inconcludente studente di filosofia e l'idealismo un pò vacuo di chi non sa scegliere un percorso professionale e umano soddisfacente passando le sue giornate tra la lettura dei classici e indolenti velleità letterarie. Quando arriva per lui, anche se con burocratico ritardo, il precetto per la naia sceglie di fare l'obiettore per un'associazione impegnata nel recupero e l'inserimento degli extracomunitari. Dopo un anno però si presenta il momento di una improrogabile scadenza anagrafica: inserirsi in qualche modo nel mondo del lavoro e  perdere finalmente il peso di una ostinata verginità.
Tra le acrobazie di una camera mobilissima che predilige le insolite prospettive di una Torino a misura di sfaccendati e la martellante colonna sonora della controcultura di sinista (CCCP/CSI), Ferrario si cimenta in una commedia sociale attraversata da un sottile spirito anarchico, il flusso di una coscienza giovanile che mostra i segni di un lento logorio interiore, di una indolenza generazionale, alla ricerca di una dimensione reale entro cui collocare sogni e aspirazioni ideali. Frequentando i luoghi comuni del disagio sociale dell'ultimo decennio (l'università-parcheggio di un sistema culturale inefficiente e retrogrado, l'endemica crisi occupazionale giovanile, il volto indifferente di un apparato burocratico inefficiente e clientelare, la perdita di identità di una intera generazione smarrita nel limbo dell'inconcludenza) si cerca di dare voce ad una afasica insofferenza dove il giovane protagonista (un Valerio Mastandrea con la faccia giusta e le 'physique du role') attraversa le tappe di un percorso ad ostacoli di una facile identificazione generazionale tra l'inevitabile conflitto con il genitore, operaio disilluso e sconfitto, una madre apatica e rassegnata e la vivacità intellettuale e umana di una brillante zietta new age con cascina in campagna e un indomito spirito giovanile (una Caterina Caselli che dà voce e volto ad una rassicurante figura di madre-amica per tutte le stagioni). Al di là della leggerezza di un film-manifesto (generazionale) con tanto di voce off che scandisce incessantemente le fasi del racconto e gli in­serti di una stralunata e grottesca divagazione onirica il film del regista cremonese coglie nel segno un certo disagio esistenziale e trova momenti di riuscita ironia nella descrizione degli stereotipi di un gretto provincialismo tra la grossolana anamnesi del medico militare, la strisciante xenofobia di petulanti maestrine, la boriosa arroganza di funzionari-obiettori tra inutili scartoffie e servizi pseudo-sociali. Forse un pò troppo appesantito dallo schematismo del romanzo di formazione da cui è tratto (sceneggiato dall'autore Giuseppe Culicchia) e dal qualunquismo anarcoide e irridente del gruppo punk rock emiliano (perfettamente in tema) cui si ispira è un volenteroso esempio di coniugare impegno sociale e disimpegno formale, nobilitanto gli aspetti più caustici di una recente deriva giovanilista della commedia nostrana. Battagliero, ma non troppo.

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