Regia di Davide Ferrario vedi scheda film
Il tiolo è solo la fine di una filastrocca che la generazione di cui si parla nel film conosce bene, ma è anche, metaforicamente, una visione del mondo e delle persone.
Era inevitabile che il libro di Giuseppe Culicchia finisse sul grande schermo, visto il successo che stava avendo. Io non lo lessi all'epoca, ma me lo ricordo molto bene, perché avevo circa quell'età e altri studenti attorno a me lo leggevano.
Accettato che la riduzione cinematografica sia fedele – almeno nessuno mi ha detto il contrario – è un film che dal lato tecnico ha uno stile volutamente non convenzionale e nervoso, ma che non irrita per eccesso. Si pensi, ad esempio alla macchina da presa obliqua. Ciò che graffia gli orecchi, invece, è la colonna sonora mai gradevole dei CSI.
Il ritmo è veloce, i piccoli eventi sempre curiosi ed originali, come anche certi personaggi, e la banalità viene sempre evitata. Lo si guarda quindi abbastanza volentieri.
Tuttavia, il continuo affastellare scenette e la presenza solo di una vaga trama, producono alla lunga una sensazione di frammentarietà e inconsistenza.
La visione della società e delle persone che si evince è di sottile cinismo, mai troppo evidente, ma presente sempre in filigrana. Il protagonista, in fondo, disprezza tutti o quasi; per la zia ha solo un moderato rispetto, concesso col contagocce. Nessun lavoro gli si confà: è vero che molti di essi sono ripetitivi e banali, ma viene il dubbio che la sua insoddisfazione professionale non sia che il pretesto per non impegnarsi, e per bighellonare con buone motivazioni ideologiche. Non ha aspirazioni di nessun tipo, neppure le più anticonformistiche, perché secondo lui nulla vale la pena.
Il suo personaggio mi ha offerto solo piccole finestre di simpatica, perché mi è per lo più leggermente antipatico. Perché, tra l'altro, fa quella scenata disgustosa davanti al carro funebre? Vuole proprio affermare che non c'è nulla di serio, neppure la morte?
Messi da parte questi elementi non simpatici, per così dire, la pellicola ha di buono che ritrae abbastanza fedelmente la società di quegli anni, e ne riproduce le consuetudini e i discorsi. Chi non ricorda il ritornello dei movimenti studenteschi, secondo cui si laureerebbero troppo pochi studenti? E questo mentre il mercato del lavoro era saturo di laureati... E gli obiettori? E le fotocopie continue che dovevano fare? Tutto questo è preso dalla realtà.
In generale, è un film da vedere come ritratto di un'epoca e di certi tipi umani, e per la vitalità e l'originalità tecnica che non sfonda mai nello sfoggio fine a se stesso, Per il resto, al protagonista verrebbe la voglia di dire “Ma va' a lavorare, mantenuto!”.
Da segnalare la giovane Luciana Littizzetto in versione “Pre-Fazio” in una particina. E forse per lei questa è stata veramente una “prefazio” ad una carriera che poi avrebbe preso altre pieghe. Però allora era decisamente più simpatica.
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