Regia di Robert Ellis Miller vedi scheda film
Vicenda surreale e improbabile ricca di spunti di riflessione offerti con garbo e gentilezza.
Lei, affetta da un male incurabile, dopo lo strazio di anni di inutili tentativi di cura, rifiuta di limitarsi ad attendere supinamente la fine e decide di utilizzare il tempo che le rimane cercando di rendersi utile al prossimo, in modo da poter continuare a vivere nel ricordo di quelli che sono stati aiutati da lei.
In particolare si tratta di uomini affetti dalle più svariate problematiche psicologiche e comportamentali con cui è più facile intervenire sfruttando le facilitazioni offerte dalle dinamiche di un rapporto di polarità.
Invita i suoi “pazienti”, che conosce nei luoghi più disparati, a vivere da lei per un solo mese di cui prenderanno il nome e al termine del quale dovranno tassativamente abbandonare l’appartamento perché il rapporto, che ha un intento terapeutico, resti tale.
Ma accade l’imprevisto: “Novembre”si innamora di lei e lei di lui.
Dopo aver scoperto la sua malattia tenta in ogni modo di rimanere per restarle accanto sino alla fine, ma lei con un’intelligenza, una lungimiranza, un coraggio ed un rigore da samurai, resta irremovibile sulle sue posizioni per evitare una fine straziante per entrambi.
Allo scadere del mese lo allontana introducendo in casa “Dicembre”, che accoglie, nella più totale noncuranza del dolore causato dalla recente separazione, con la stessa amorevole frase dedicata a tutti gli altri: “Io credo che dicembre sarà un mese bellissimo Gordon. Vedrai, vedrai, un mese bellissimo”
Il suo sacrificio mostra di aver dato i suoi frutti: “Novembre”, originariamente imprigionato in una visione ordinaria dell’esistenza e afflitto da un grigiore e da un ansia da controllo che non gli consentivano di godere appieno della vita nella sua inafferrabile transitorietà, guarisce, tanto da capire che lei ha ragione e da riuscire, all’ultimo, ad andarsene dicendo:“Adesso ho capito Sara, così mi sarai vicina per tutta la vita; rimanere significherebbe restare nel tempo che non è più. Avevi ragione”.
Significativa la casa, ove si svolge in prevalenza l’azione, ambientazione in alcune inquadrature dal taglio vagamente teatrale, in cui il significato simbolico di ogni dettaglio esplode in una perfetta assonanza con l’animus della sua inquilina: ogni angolo nell’apparente confusione e precarietà rivela una cura e un’attenzione quasi maniacali; l’accozzaglia di oggetti, colori, la loro disposizione insolita e sregolata diviene correlativo oggettivo della trama spesso invisibile dell’esistenza, poco incline a lasciarsi imbrigliare da patetici e infantili tentativi di controllo;
lei insegna l’arte della resa e della leggerezza; la fertilità della fantasia e la necessità di liberarsi delle sovrastrutture per godere appieno della bellezza che la vita offre.
Non si cura e non si preoccupa dell’asse rotta del ballatoio o della scala traballante che all’inizio terrorizzano invece “Novembre”;
quando si sale tutto vacilla ma misteriosamente regge, così come è la vita che cigola e sobbalza senza offrire nessuna certezza e ciò nondimeno prosegue, fluidificandosi in maniera direttamente proporzionale alla capacità di seguire i suoi ondeggiamenti senza irrigidirsi nel tentativo di controllarli.
E fa piccoli lavoretti di riparazione a domicilio, scarichi ostruiti, televisori rotti, anche questi, lotta al degrado della materia, simboli del tentativo di opporsi alla morte; li garantisce con la propria parola, che, specchio della propria qualità umana, ha un valore molto maggiore di qualsiasi pezzo di carta.
Pregevole la capacità di mantenere sempre toni leggeri e delicati, in linea con il messaggio del film, che rischiano però di indurre a sottovalutare la profondità dei contenuti.
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