Regia di Eric Rohmer vedi scheda film
Non si perde mai il piacere del racconto con E.Rohmer, i precedenti “racconti morali” ambientati fra gli anni 60 e 70 contenevano l’analisi individuale, la relazione uomo-donna, l’asse d’equilibrio fra ragione e sentimento, all’interno dell’emisfero sociale, attraverso dialoghi fluenti divisi fra quotidianità del parlato e riflessione interna. Nel 1976 il regista torna al cinema con un lavoro all’apparenza completamente diverso, La marchesa Von O, film in costume ambientato nel 700 nel nord Italia in una disputa di guerra fra nobili tedeschi assediati da truppe dell’esercito russo. Se la rappresentazione sembra ricalcare gli scenari più classici dell’epoca, in realtà Rohmer costruisce una delle sue migliori opere, celando fra i dialoghi che appaiono quanto mai artificiosi nei toni e nelle modalità espressive, una descrizione sentimentale e drammatica degli stati d’animo dei personaggi molto rilevante. Facendo leva sul ritmo incalzante (quasi teatrale) fra parlato e bellezza pittorica delle immagini, il film ne trae una scorrevolezza e un’intensità pari ad un grande romanzo. Tratto da un racconto del drammaturgo tedesco Von Kleist, si narra che Giulietta, la marchesa Von O, durante uno scontro a fuoco fra i contendenti viene salvata da un tentativo di violenza carnale da parte di alcuni soldati russi, poi scopertasi misteriosamente incinta non riesca a darsene spiegazione alcuna, poiché vedova da anni e da allora senza rapporti sessuali. Il film inizia con l’inusuale lettera pubblica della marchesa letta in una locanda, nella quale invita il presunto responsabile a farsi vivo. Il racconto cinematografico riprende fedelmente quello letterario, si snoderà fra l’esplicazione formale della rigidità dei rapporti familiari e affettivi della marchesa con il padre (chiamato comandante anche dalla moglie), con la madre e con il conte russo che la salvò nel tentato stupro e che insiste per averla al più presto in sposa. Il misterioso filo conduttore dell’attribuzione di paternità, seppure intuibile ma mai spiegato fino in fondo, si sviluppa con la maturazione e la consapevolezza dei sentimenti della marchesa, che Rohmer riesce a imporre come personaggio estremamente attuale, la mette al centro della scena come simbolo femminile, e ne fa emergere la figura capace di atti e riflessioni dolorose, di verbalizzare con gesti e presenza fisica manifestazioni interiori fuori da ogni tempo. Il film rispecchia gli intendimenti e l’opera del drammaturgo tedesco, romanticamente proteso verso una forma di felicità tanto duratura quanto illusoria, e anche ne La marchesa Von O non mancano le debolezze morali e strutturali di una società così schematica come quella prussiana dell’epoca. Quasi un anticipatore di Freud, Von Kleist/Rohmer pone rilievo all’inconscio, ai suoi meccanismi, alla dimensione onirica, all’illusorio controllo delle pulsioni, sessuali prima di tutto, dai comportamenti slegati da qualsiasi pensiero cosciente. La marchesa sa quando è avvenuto il fatto, mentre dormiva, dopo che era stata salvata, ma non può riconoscere l’autore come non può riconoscere un sentimento amoroso. Le sequenze chiave del film sono numerose ma su tutte si evidenziano per simbolismi, per contradditorietà, per apertura verso significati del tutto inesplorati per l’epoca, quando la marchesa, dopo essere stata allontanata per la vergogna dai familiari, ritorna nella casa paterna e con il padre si riconcilia in una scena quasi incestuosa, che appare sconcertante ma allineata con quello che controbilancia il rapporto padre-figlia, nel quale l’uomo ritorna a dominare corpo e forse anima della donna, perché ritenuta degna di reinserirsi nel contesto convenzionale, mentre fra le braccia del padre, Giulietta in lacrime dimostra di non essere ancora totalmente pronta a quella forma di distacco. Nonostante la sua emancipazione è ancora lontana da una completa dimensione autonoma. Altra scena, finale, nell’incontro con il conte, il racconto necessita di una fine, in questo caso potrebbe essere un happy end o semplicemente consolatorio, invece rappresenta un estremo ribaltamento della vicenda, in quanto Giulietta fa i conti con il suo stato d’animo diviso fra l’accettazione dell’uomo, del desiderio, e dell’ostilità nei confronti di chi l’ha violata nel sonno. A nascita avvenuta, dopo una metaforica dichiarazione d’amore dell’uomo, quando fisicamente il frutto di quella violenza è mostrabile e ne cessa così l’ effetto, Giulietta inaspettatamente trasformerà il suo rapporto con il conte. Rohmer mantiene la rappresentazione sotto un profilo umano senza cedere a intellettualismi e al facile giudizio, la partecipazione dello spettatore è attivata dalle linee narrative su cui si muovono i diversi personaggi, ognuno definito da caratteristiche proprie, ne scaturisce un affresco globale di un mondo neoclassico abbagliato da colori caldi e da toni interiori laceranti e quanto mai compressi, alla ricerca di una nuova moralità tutta da costruire.
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