Regia di Marco Ferreri vedi scheda film
Un film che prende spunto dalla rivoluzione sessuale degli anni settanta per riflettere sull’impossibilità del progresso e sulla conseguente inutilità della storia. Per Marco Ferreri abolire le convenzioni sociali e la distinzione dei ruoli tra i sessi significa ritornare all’impulsività selvaggia, che annulla l’anima pensante dell’uomo equiparandolo di fatto ad un animale. Mascolinità e femminilità sono, in fondo, anche i poli opposti di un potere endogeno che regolamenta, negli anni, la vita della società: ogni squilibrio o confusione tra le due componenti compromette fatalmente un delicato meccanismo di trasmissione culturale. In quest’opera il cosiddetto sesso forte appare abbandonato, disprezzato, lasciato solo a vagheggiare le glorie passate (il titolare del museo delle cere), a rimpiangere una dignità d’altri tempi (il vecchio Luigi), o a coltivare, privatamente, una istintualità ormai priva di potenza (il giovane Lafayette). Lo scenario è l’irriconoscibile New York di un imprecisato futuro, deserta, arida e ostile, il cui paesaggio è dominato dalla figura di un King Kong schiantato al suolo. In questo paesaggio post-moderno, in cui si è spenta l’eco della frenetica corsa allo sviluppo economico, tre uomini di tre diverse fasce di età si muovono, disorientati, portando su di sé i simboli dei tipici aspetti della virilità: il cimelio della Roma imperiale, un elegante completo démodé, una scimmia travestita. Antica saggezza politica, tradizionale decoro borghese, esuberante creatività artistica sono valori ormai spenti, ridotti a statici arredi, e destinati (nel finale) ad essere materialmente distrutti. Come ne L’ultima donna, la muliebre fecondità sarà l’unica a sopravvivere: l’immagine della madre con il bambino sarà l’icona vincente, il quadro superstite ed essenziale che, sfrondato delle inutili invenzioni dell’amore libero, della sessualità di gruppo, della famiglia allargata, della indecidibilità del genere, rimarrà per sempre l’unico, autentico nucleo fondante della continuità della vita sulla Terra. La maternità perpetua l’esistenza della carne e di una primitiva forma di attaccamento affettivo: tutto il resto passa e va, tutte le costruzioni a posteriori appartengono soltanto alla memoria del mondo, e tramontano ad ogni cambio di generazione. Ciao maschio è un’allegorica analisi del tempo che annulla l’hegelismo, vedendo, nel susseguirsi delle epoche, solo un accumulo di humus da cui rinasce, sempre nuova e sempre uguale, un’umanità che del passato conserva, in fin dei conti, solo l’eredità organica scritta nei suoi geni.
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