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Niente baci sulla bocca

Regia di André Téchiné vedi scheda film

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La recensione su Niente baci sulla bocca

di EightAndHalf
8 stelle

Inseguire, ma in maniera discreta. E' questo che fa la regia di André Téchiné in J'embrasse pas, soggetto di Jacques Nolot che nelle mani del regista francese (e degli attori protagonisti del film) diventa un sottile, apparentemente pacato, in realtà infuocato, dramma coming-of-age, mosso dall'oggetto del desiderio Pierrot che, fuggito dalla campagna, cerca fortuna in città (un po' come Jon Voight in Midnight Cowboy di Schlesinger, 1969). A lui si affida la regia di Téchiné, nervoso contemplatore umanissimo ma mai semplicemente empatico del giovane protagonista. E' come se la cinepresa non riuscisse mai a conoscere Pierrot davvero ma non fosse frustrata per questo. Come se lo sfruttasse per avere il piacere di inseguirlo, di amarlo non ricambiato, e di vederlo fuggire. La prima metà del film è comandata dalle fughe di Pierrot, che scappa da ogni singola situazione in cui si ritrova, infantilmente orgoglioso del proprio essere e dunque restio a concedere se stesso, la sua figura, men che meno la sua personalità, a nessuno, nemmeno alla macchina da presa. Come una Catherine Spaak che nei Dolci inganni di Lattuada scappa dalla cinepresa, Pierrot di Manuel Blanc scappa pure, ma noi rimaniamo affascinati a guardarlo, accorgendoci che non lascia mai il campo, e quando lo lascia sono momenti di spaventosa intensità in cui sentiamo la sua mancanza. Anche quando sono semplici soggettive. Soprattutto quando le soggettive lo coinvolgono in campo con un significativo dolly all'indietro - a ricordarci che abbiamo bisogno di lui, e della matrice di quel preciso sguardo.

Finché non compare Ingrid, la Béart, Anna Karina godardiana sfuggente ma brillante, una nuova figura che catalizza l'attenzione dello spettatore e di Pierrot stesso che finalmente sembra mettersi da parte per osservare, senza fuggire stavolta ma trovando il suo posto - anche e soprattutto nell'inquadratura. A quel punto sarà forse diventato un attore, in grado di concedersi - sessualmente, come in Spetters di Verhoeven - perché di fronte a Emanuelle Béart nient'altro può governare l'immagine. Nemmeno la fuga nella geopolitica europea dei primi anni Novanta, nemmeno più lui con la sua inconsapevole vanità.

 

 

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