Regia di Luciano Emmer vedi scheda film
Camilla è una corpulenta donna di servizio venuta a Roma dal suo paese per occuparsi di una famiglia composta da marito medico, moglie casalinga e due bambini. Nessun regista come Emmer, qui coadiuvato alla sceneggiatura da Flaiano e Sonego, ha saputo descrivere il paesaggio urbano dell’Italia anni ’50 e le piccole avventure alle quali fa da sfondo: buoni borghesi divisi fra la necessità di preservare le apparenze (non sia mai che una donna sposata sia costretta a lavorare), l’ansia di perdere la sicurezza economica acquisita e la tentazione di rischiare, anche prendendo scorciatoie poco oneste (suggerite dall’intrallazzone Franco Fabrizi). Un mondo dai ritmi regolati e dalle aspirazioni modeste, dove ci si può quasi dimenticare di essere infelici nonostante ogni tanto affiori la sensazione (catalizzata dalla ricomparsa di una vecchia fiamma) che forse la vita poteva essere diversa; un tessuto connettivo brulicante di servette, portinai, soldatini e muratori (figure onnipresenti questi ultimi, che costruiscono i nuovi quartieri residenziali); inevitabilmente qualcuno muore, e il finale lascia intravedere un futuro fidanzamento. Camilla non è la protagonista, non compie azioni decisive, non detiene nemmeno la voce narrante, dice sempre di volersene andare ma poi resta: si limita a fare da testimone e a buttare lì qualche commento dettato dal sano buon senso; è un personaggio destinato a rimanere ai margini, che già allora appariva démodé e che rappresenta degnamente il tempo che fu.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta