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All'ombra di una colt

Regia di Gianni Grimaldi vedi scheda film

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La recensione su All'ombra di una colt

di scapigliato
8 stelle

A Gianni Grimaldi riesce bene questa sua prima regia western. All'inizio sembra che il film non decolli, che sia tutto un botta e risposta prolisso, ricalcato sul modello americano, invece ecco che sorprendentemente il film si fa avvincente fino alla resa dei conti finale.
Se negli Spaghetti-Western, rincorsa all'oro e vendetta, sono i due temi cardine, spregiudicati e irriverenti con cui narrare la frontiera, nel cinema western americano uno dei temi principali è la rivalità tra allevatori e coltivatori, ma anche tra allevatori e affaristi, entrambi i temi depositabili in un'unico grande tema che potremmo chiamare del "tentativo di civiltà". Allevatori che vogliono vincere il campo e pascolare le loro mandrie; agricoltori che si battono per la superiorità del mondo agricolo, conservatore e integro moralmente; gli affaristi che dovunque guardano vedono solo l'affare; e infine i disperati che vogliono solo seppellire la loro colt e crearsi una famiglia, un ranch con degli animali da allevare. Ed è il caso del nostro Stephen Forsyth, bell'uomo che si prestò molto allo Spaghetti, che da pistolero incallito vuole trovare pace e serenità nel mondo contadino. Si ripete così la lotta tra nomadismo (pistolero) e stanzialità (allevatori, agricoltori, cittadini), che ad una letterura più profonda si può leggere come il dualismo tra due condizioni esistenziali entrambe ricercate e volute dall'uomo ma tra loro in antitesi: la voglia di fermarsi e quella di fuggire ed errare per sempre. Ma la dialettica tra nomade e stanziale porta anche ad un profilo storico delle pellicole western: la vera lotta per il possesso dei pascoli, delle terre, delle acque. Una dialettica che nasce in concomitanza con il Paese americano e ne diventa un paradigma anche culturale. Infatti, molte ipotesi sull'ossessione della carne e dell'allevamento bovino sono state trattate anche recentemente da Linklater in "Fast Food Nation", e ai tempi anche deformate nell'horror con il ciclo su Leatherface. Il film di Grimaldi, è chiaro, non ci dice tutto questo purtroppo, però nel suo svilupparsi si focalizza sullo stoicismo (tipico aristocratico) del protagonista elevando così pure il pistolero incallito e il probabile contadino a casta degna di tutti i riguardi.
Sorprendenti le fasi finali. Anche se il film ha l'incedere prolisso, comprese le varie sparatorie, le imboscate e i duelli verbali, è il finale che lascia a bocca aperta per bellezza e incisività. Sarà che il paesino in cui la storia è ambientata sia lo stesso di "Per Un pugno di Dollari", fatto sta che quella piazza deserta e silenziosa, accecata dal sole, con un pistolero, vecchio amico di tante avventure che è lì pronto per assassinarti, con i cattivi alla finestra ansiosi e smaniosi di godere del loro potere. E poi lui, il bel protagonista, che arriva a cavallo insieme al suo sfidante, da lati opposti. Scendono. Tutto è in silenzio. Si avvicinano. Parte una shotdown inaspettata che lacera il silenzio, esaspera i cattivi banchieri e proprietari di tutto il paese, fa i suoi morti, e poi lascia i due rivali uno contro l'altro. Si pestano e poi si lasciano senza parole, sempre nel silenzio irreale di quella piazza deserta accecata dal sole. Un finale che da solo vale l'intero film.

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