Regia di Peter Del Monte vedi scheda film
Peter del Monte tenta la strada del film corale, bizzarro e movimentato, ma sbaglia a molti incroci, e finisce per perdersi.
È carina, ma è anche una pellicola con non pochi problemi, che secondo me risiedono nella sceneggiatura e nella trama. Gli attori, infatti, sono bravi, compreso il ragazzino, e specialmente Alessandro Haber. Egli è uno di quelli, del resto, che non serve che reciti, ma basta che parli così, a modo suo....
Già il presupposto della vicenda è tirato un po' per i capelli: un dodicenne che diventa padre senza rendersene conto.... Poi c'è la forzatura del figlio che cresce di circa tre anni, ma il padre no. Poi la vicenda procede a salti e colpi di scena che però raramente funzionano, anche accettando un'evidente volontà di bizzarro e paradossale. Ma questo è un registro di difficilissimo equilibrio, che qui viene mancato. Alcuni dei molti personaggi hanno la loro carica di umanità, ma altri sono confusi e campati per aria, e spesso sono rimasto perplesso.
Ma neppure possiamo evitare un'altra domanda: dove va a parare tutta questa buffa vicenda? Io ho l'impressione che si cerchi di dare forma a qualche metafora o allegoria di tipo socio-politico, ma che l'obiettivo venga mancato proprio perché si fa fatica a mettere a fuoco la metafora. I genitori del ragazzino, infatti, sono ex-contestatori sessantottini, specie il padre, incapaci inserirsi nel mutato mondo del presente. Haber impersona abbastanza bene un rivoluzionario fallito, e forse un eterno bambino, ma la madre rimane un personaggio piuttosto confuso. Forse la sceneggiatura vuole tracciare un paragone tra il ragazzino e suo figlio, e i due genitori, che sono praticamente dei bambinoni. Entrambe le coppie, in modi diversi, non riescono ad adattarsi alla realtà e ad un mondo caotico, popolato di strani personaggi. C'è un indubbia ricerca del “carino”, specie nella figura del bambino piccolo. Forse c'è anche una certa esaltazione della follia, della fuga nella fantasia, dell'inseguire i propri sogni, della libertà dai vincoli. Ma è tutto un po' fumoso, e forse sono solo mie illazioni.
La colonna sonora, invece, mi è piaciuta molto: le musiche, scritte da tal Fiorenzo Carpi, mi sono sembrate molto belle e gradevoli.
Tra gli attori secondari troviamo Leopoldo Trieste, nei panni di un folle, e Gaetano Sanguineti (non ancora “Tatti”), che oggi conosciamo come critico cinematografico. C'è anche spazio per un'attrice straniera (ne ho dimenticato il nome), che si spoglia in tutte le scene in cui compare, finché.... scompare di scena. Che sia stata chiamata solo per questo?
Peter del Monte, anche co-scneggiatore, vuole osare di più andando alla ricerca di nuovi lidi, e uscendo così dal suo seminato, che è il cinema intimista di indagine psicologica e sentimentale. Forse puntava ad un pubblico più vasto, ma nessun artista dovrebbe tradire la propria vocazione. E poi, la sceneggiature è piuttosto scalcinata. A dare retta a Billy Wilder - uno che di cinema se n'intendeva - una buona sceneggiatura è la pietra angolare di ogni buon film.
Per finire con una nota positiva, il film richiama bene le atmosfere e il modo di vivere quotidiano di quegli anni, compresi certe osterie e certi negozi che ormai non ci sono più.
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