Regia di Peter Del Monte vedi scheda film
Fiaba metropolitana moderna, dalla trama assurda e molto surreale, scritta da Bernardino Zapponi avendo ben presente il modello di Zavattini. Però l'insieme funziona, soprattutto all'inizio, quando l'autore (un'eterna promessa, ma che qualche segno ha saputo lasciarlo: insieme a questo, segnalerei almeno Irene, Irene del 1975) si prende gioco dei fallimenti della generazione del '68. La seconda parte del film, affidata completamente sulle spalle del giovanissimo Luca Porro (Oliviero) e del piccolissimo Fabio Peraboni (suo figlio Cristiano detto Pisello), è preda di un'eccessiva leggerezza narrativa, che in qualche caso scade effettivamente nella divagazione fanciullesca. Ma colpisce il buon senso messo in bocca ai ragazzini, soprattutto se confrontato all'inaffidabile cialtroneria degli adulti, confinati in un egoismo totalizzante, alla faccia delle belle intenzioni collevittistiche professate durante l'epopea sessantottina. Anche quando trova un'occupazione più o meno stabile, il padre di Oliviero (un notevole Alessandro Haber), pittore eternamente in cerca d'ispirazione, esclama tutto entusiasta «sono uno zingaro! sono un bohémien!», mentre sua moglie se ne va in Cambogia con le amiche fricchettone («ma da dove si passa per andare in Cambogia?» «So io la strada: hai presente il Laos?»), mentre il figlio e il nipotino sono scomparsi da casa.
Del Monte, deluso dalle generazioni di adulti che aveva sott'occhio (non ci fa una gran figura nemmeno il dentista, nonno paterno di Oliviero), sembra fare affidamento sui ragazzini. Oggi possiamo forse dire che era un ingenuo, ma con un film come questo ha almeno provato a credere anche in un cinema di commedia un po' diverso da quello che andava per la maggiore all'epoca, tentando di farsi largo tra i vari pierini e le soldatesse.
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