Regia di John Carpenter vedi scheda film
John Carpenter fa del B-movie un'arte e dell'assenza di autorialità un canone di sobrietà ed eleganza. Rinunciando ad ogni intermediazione estetica, lascia che l'incubo sia il figlio naturale della notte, e il terrore il diretto discendente del mistero: è da questo legame di sangue che trae origine l'indissolubile nodo dell'enigma diabolico, che la morte consegna all'eternità. In questa storia, l'inferno è il calore di fornace che ha dato a una Cadillac la molle consistenza della carne: così viscere e acciaio si fondono nell'abbraccio morboso tra un uomo e la sua auto. Il film ha il look freddo e un po' rétro del metallo laccato, che sa di lattine di birra, di juke-box e vecchie stazioni di servizio e quindi riesce a consegnarci, a tre decenni di distanza, la nostalgia per il rock anni settanta in una perfetta confezione vintage. In questo horror meccanico, allo strazio dei corpi dilaniati si sostituiscono lo stridore delle lamiere accartocciate e l'odore di benzina e fumi di scarico: lo zombie a quattro ruote che riesce a risorgere dalla ruggine e dai rottami, per vendicarsi dei torti subiti, è un mostro post-industriale assetato di protagonismo, desideroso di possedere e dominare chiunque osi avvicinarglisi. La macchina Christine è dunque il prodotto del progresso che ridiventa un pericolo ancestrale, la bestia crudele e vorace che subdolamente minaccia la nostra specie; e, con i toni fiabeschi di una saggezza antica, ci mette in guardia da tutto ciò che, sia pur proveniente dalle nostre mani, è tanto più forte di noi.
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