Regia di John Carpenter vedi scheda film
Nel 1957 due disgrazie, apparentemente fortuite, provocano nell’ordine il ferimento e addirittura la morte di due operai addetti alla catena di montaggio che “sforna” ogni giorno in serie, splendide Playmouth Fury di ogni colore.
Circa vent’anni dopo, ritroviamo la carcassa di quella stessa auto rossa fiammante presso un cortile, in vendita da parte di un anziano che l’ha ereditata dal fratello.
La scorge il nerd Arnie Cunningham assieme al suo amico Dennis, e nasce un amore incontrollato che spinge d’impulso il ragazzo ad acquistare l’auto, scassata ma funzionante, senza l’autorizzazione dei severi genitori, e davanti alla perplessità del suo caro amico.
L’auto, che si chiama Christine, viene dal ragazzo parcheggiata da un meccanico nelle vicinanze, per non irritare i genitori del teenager, oggetto peraltro di atti di nonnismo e prepotenza assai gravi a scuola.
Ma da quando Arnie inizia a sistemare Christine, il suo atteggiamento cambia: toglie i goffi occhiali, diventa caratterialmente più sicuro, e se anche se gli scherzi di cui rimane vittima non cessano ma anzi aumentano di gravità, prendendo per oggetto di riferimento la ormai bellissima autovettura, egli finirà per diventare il giustiziere e il vendicatore estremo nei confronti dei suoi carnefici, letteralmente annientati.
Toccherà a Dennis e alla bellissima Leigh indagare sul cambiamento che ha stravolto il modo di essere del loro ex mansueto compagno, e l’ombra di una presenza demoniaca proveniente da quell’auto infernale, diverrà una certezza, spingendo i due a tentare di salvare l’amico, distruggendo la micidiale automobile vintage.
Dal celebre romanzo di Stephen King, un John Carpenter d’annata ricava un film assai ben fatto e gradevole, in grado di tener saldo lo spettatore attorno ad una vicenda che, pur non riuscendo a raccontare davvero nulla di straordinariamente nuovo (il predecessore La macchina nera, pur più anonimo come regia, costituiva in realtà una vera novità, per non parlare del celeberrimo e capostipite Duel di Spielberg), esala in ogni circostanza l’anima dell’ossessione “kinghiana” per l’orrore che si annida nelle vite ordinarie di una periferia apparentemente quieta, ma scossa dall’insondabile e dalla presenza di un male che riesce a manifestarsi più concretamente di quanto si possa osare ipotizzare.
Nel cast due “belloni” come John Stockwell e Alexandra Paul (curiosamente scritturati a pacchetto chiuso alcuni anni dopo dai Vanzina per il loro scult Miliardi, sulla “Milano da bere” e della finanza spregiudicata, il protagonista, che nasce nerd ed evolve come rianimato dal male che lo contagia, ben reso da Keith Gordon. Nel ruolo del poliziotto di turno, zelante, saggio, ma in fondo piuttosto inutile, riconosciamo l’ottimo e recentemente compianto Harry Dean Stanton, mentre il televisivo Robert Prosky veste i panni del laido meccanico che si offre per lucro di ospitare la conturbante macchina del diavolo.
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