Regia di Luc Dardenne, Jean-Pierre Dardenne vedi scheda film
Roger (Olivier Gourmet) è un uomo senza scrupoli che vive attraverso il traffico illegale d'immigrati e lo sfruttamento del lavoro nero. Si fa aiutare dal figlio Igor (Jèrèmie Renier) che però, dopo la morte in cantiere di un tunisino (Assita Ouèdraogo), inizia gradualmente ad allontanarsi dal padre.
E' un film sull'ordinaria banalità del male in un mondo brutalizzato dagli eccessi edonistici. Oppure, è un film sull'adolescenza negata, perchè il quindicenne Igor è costretto dal padre a convivere con situazioni più grandi di lui. Nel contempo, è anche un film sulla possibilità data all'uomo di affrancarsi da situazioni di vita difficili, perchè Igor impara il rispetto per gli altri dopo essere stato complice dei traffici illeciti del padre. "La promesse" è il primo lungometraggio dei fratelli Dardenne e in esso è già presente quella grande aderenza alla realtà fattuale che fa del loro cinema un termometro per misurare il grado di miseria umana presente nella nostra dorata modernità. La rigorosità che imprimono al loro lavoro si insinua negli anfratti più reconditi del modello economico occidentale facendone emergere i lati oscuri in tutta la loro pregnanza antisociale. "La promesse" rappresenta un quadro di ineguagliabile tristezza: da un lato c'è l'umanità emarginata dal mondo globalizzato che va spedito per la sua strada infischiandosene di chi rimane irrimediabilmente indietro, dall'altro lato c'è chi specula su questo stato di cose per ricavarne degli utili, per ritagliarsi un proprio posto al sole. E' una guerra tra poveri insomma, dove chi vince rimane piantato al punto di partenza, ingabbiato in un ruolo sacralizzato nella sua fissità sistemica. Quello dei Dardenne è un cinema sociale che non lascia spazio alla demagogia di maniera, alle strizzatine d'occhio per una qualsiasi forma di spettacolarizzazione modaiola. Ha una secchezza e un'essenzialità formale che ti induce ad andare direttamente al cuore della materia trattata, di sviscerarne l'intimo rapporto di causa effetto tra chi o cosa produce il male e chi o cosa ne è vittima. Il loro modo di lavorare, concentrato tutto sui corpi dei protagonisti, il loro continuo pedinamento, è teso a creare un rapporto simbiotico tra l'uomo e il milieu urbano che vive e subisce, un legame tra la solitudine esistenziale dell'uomo moderno e il degrado delle periferie suburbane. Ne "La promesse", tutto succede nell'efficientissimo e civilissimo Belgio, non lontano dai salotti buoni delle cattedrali del razionalismo economico: l'immigrazione clandestina, la falsificazione di documenti, il lavoro nero, le abitazioni fatiscenti, la morte impunita di un immigrato. Tutto avviene intorno agli occhi candidi di chi non vede perchè non vuol sapere. Ma in quel teatro tragico della vita che è il cantiere in cui Roger tiene stipati decine di immigrati, gli occhi non ancora del tutto compromessi del giovane Igor vedono cose che un quindicenne non dovrebbe mai vedere. E allora si ribella con l’istitività propria di chi sa che ha ancora il privilegio di poterlo fare e la forza consapevole per poter riacquistare la propria dignità. E decide di scegliere la solidarietà umana al cinismo del padre, la verità di ciò che vede all'ipocrisia di ciò che si vuole tenere nascosto, il coraggio delle proprie idee alla apatia delle coscienze che percorre in lungo e in largo in nostro ricco "Eldorado".
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