Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film
Il tema caratteristico dell’opera di Kitano è la nevrosi, che si manifesta in primitive forme di rivalità e prepotenza, di cui la yakuza è l’espressione istituzionalizzata. L’approccio all’argomento oscilla tra la poesia e l’ironia, ma senza alcuna indulgenza. Il Giappone contemporaneo sembra un mondo alla deriva e privo di storia; la società è costituita da singoli individui, in preda ad ossessioni e manie, nella totale assenza di strutture sociali di riferimento, se si escludono le gerarchie mafiose. Queste ultime, però, non solo non forniscono alcun punto di riferimento, ma rappresentano proprio l’abisso del disordine e dell’amoralità. La vita dei gangster è caratterizzata dalla crudeltà e dagli eccessi, e dà quindi vita a figure del tutto prive di carisma, dedite ad assurde perversioni incompatibili con qualsiasi tipo di leggenda. Kitano dissacra i miti cinematografici consegnando le storie alla rozza banalità del quotidiano, che, anziché offrire il conforto della routine, è una vuota casualità in cui ogni personaggio si perde. La riva del mare, un motivo ricorrente dell’opera di questo autore, è, da un lato, un’oasi di pace in mezzo al caos, dall’altro il luogo-simbolo del disorientamento: l’uomo sulla spiaggia è solo e spoglio, in una condizione che prelude ad un’immersione in un ignoto sterminato e inerte. La spiaggia è anche l’unica isola di bellezza in un ambiente squallido e polveroso, che alterna cemento nudo, terra battuta e vegetazione incolta. È questa la moderna versione della natura selvaggia, a cui appartengono uomini violenti e villani, senza onore né maniere. In “Boiling point”, il ruolo svolto dalle “nuove leve” della criminalità organizzata mostra come l’orrore scaturisca da un’umanità ignorante e goffa, messa sotto pressione dalle frustrazioni e dal senso di inadeguatezza rispetto ad una società che esaspera la competizione.
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