Regia di Cameron Crowe vedi scheda film
Laccato, fasullo, superficiale, diabetico. Le entusiastiche recensione americane e le 5 nomination agli Oscar [film (argh!), sceneggiatura originale (mah...), montaggio (va bè..), Tom Cruise (?!?) e Cuba Gooding Jr (sigh!!!) - quest'ultimo addirittura premiato, scippando letteralmente il premio sia a William H. Macy di "Fargo" sia a Edward Norton di "Schegge di paura"] hanno dell'incredibile e lasciano di sasso. D'accordo che il 1997 per gli Academy Awards è stato l'anno del trionfo del mediocre e sonnolento "Il paziente inglese", a dimostrazione di una stagione cinematografica tutto sommato davvero bruttina e deludente, ma esaltarsi per una commediola incolore, sciatta, irritante, logorroica, persino tediosa come questa resta un mistero difficilmente spiegabile. "Jerry Maguire" è il trionfo della più sfacciata ipocrisia, del moralismo più bieco, del buonismo più indigesto, della retorica più pomposa. Cameron Crowe alla sua terza opera cinematografica dopo i discreti ma non certo memorabili "Non per soldi...ma per amore" e "Singles", sbaglia completamente il tiro e, se come sceneggiatore riesce talvolta ad andare a segno con qualche riuscita battuta (specie quelle affidate a Bonnie Hunt, la migliore del gruppo nei panni di Laurel, la sorella della protagonista, unico personaggio simpatico e pienamente riuscito, pur nelle sue ovvietà), come regista fa un autentico disastro. Lasciare briglia sciolta a Tom Cruise si è rivelata una mossa deleteria. I fan dell'attore sono andati in visibilio, quasi commossi, ma per gli altri la performance è al di là del sopportabile e del digeribile. Cruise è praticamente presente in ogni scena e gigioneggia a più non posso ed in modo fin troppo compiaciuto. Dalla celebre sequenza in cui urla al telefono a Cuba Gooding Jr "coprimi di soldi", brutta traduzione dell'originale "Show me the money" (fammi vedere i soldi) a quella in cui malinconicamente si congeda dai suoi colleghi, ricevendo la collaborazione e la fiducia solo della timida impiegata Dorothy, fino alla scena, orribile, in cui ubriaco si presenta a casa di Dorothy. L'attore si impegna a più non posso ma l'unica cosa che rimane in mente è il suo sorriso a 32 denti, tanto che viene il dubbio che abbia voluto fare pubblicità al suo dentista. E meno male che all'inizio del film annuncia "Io sono quello che di solito non vedete: sono quello che sta dietro le quinte!". Alla faccia!! Cuba Gooding Jr si limita a urlare e ballare: pare un grande atleta, ma come attore proprio non ci siamo e la successiva, spaventevole e sconveniente, carriera cinematografica (nel suo curriculum scult come "Al di là dei sogni", "Pearl Harbour" e "Instinct" giusto per citare solo i più celebri) è lì a dimostrarlo. Renée Zellweger ha uno sguardo radioso che conquista, e non è disprezzabile come i suoi due colleghi maschi anche perché recita nel ruolo che le riesce meglio, quello di Bridget Jones per intenderci, nel quale sarebbe poi rimasta impantanata a vita. Il piccolo Jonathan Lipnicki dovrebbe rappresentare i momenti di maggiore ilarità, ma ahimé può davvero poco, anzi, se possibile, aumenta le dosi di commozione da supermercato con i ripetuti baci ed abbracci a Jerry Maguire, rivelando il cuore di papà che c'è nello spietato ma redento procuratore. Se fosse solo questo si potrebbe comunque passare anche sopra. Purtroppo Crowe che, con azzardo, incoscienza e un pò di presunzione, ha dichiarato che i suoi modelli per il film sono stati "Piombo rovente" di Alexander Mackendrick (il personaggio di Cruise sarebbe ispirato a Sidney Falco, lo spietato addetto stampa interpretato da Tony Curtis nel film con Burt Lancaster - ma non diciamolo nemmeno per scherzo...) e "L'appartamento" di Billy Wilder, per il mix di cinismo e romanticismo (hai voglia!!!), sbaglia tutto anche per quanto riguarda i tempi e i modi. Il ritmo, infatti, a dispetto del montaggio frenetico ed elettrizzante e della colonna sonora al solito (con il regista, ma sembra ormai più che altro un vezzo) super, è tutt'altro che travolgente, anzi frequenti, lunghi ed immotivati sono i momenti di stanca (due ore e un quarto per raccontare il riscatto e la redenzione di "un altro squalo in abito scuro" che odia la sua posizione nel mondo e che solo a 35 anni "comincia a vivere", perché il figlio di un suo giocatore, finito malconcio all'ospedale, gli ha aperto gli occhi, sono davvero troppe). La lezioncina poi che il regista vuole impartirci, sulla spregiudicatezza di "un mondo cinico e fortemente competitivo" in cui i veri valori sono andati alla malora è spiattellata in modo così enfatico e ripetitivo da risultare stucchevole e fastidiosa. Già, perché come ci ricorda Dicky Fox, il defunto mentore di Maguire, i cui sapienti ed illuminanti consigli e massime accompagnano il film e per il cui ruolo il regista aveva inizialmente pensato proprio al grande Billy Wilder che, saggiamente, ha glissato (pare abbia liquidato regista e attore con un laconico "Non voglio fare il fantasma per due dilettanti!"), "Se questo (il cuore) è vuoto, questa (la testa) non ha importanza!" Che rivelazione folgorante!!! Ci sono inoltre, nel film, alcuni momenti davvero imbarazzanti e goffi nel loro semplicismo spicciolo e nel loro volere sottolineare ad ogni costo, in modo fin troppo esibito, l'intento del regista/sceneggiatore. Valgano due per tutti. Dopo che Jerry e Dorothy si sono congedati dai loro colleghi, sull'ascensore trovano una coppia che si bacia appassionatamente: lui è sordomuto e dice a gesti qualcosa alla ragazza. Jerry si domanda cosa le abbia detto e Dorothy, che conosce il linguaggio dei sordomuti, gli risponde che il ragazzo ha detto alla fidanzata: "Tu mi completi", frase che, come è ovvio, Jerry ripeterà a Dorothy nel momento in cui la dovrà riconquistare. Brividi lungo la schiena. Quando Dorothy accompagna con il figlio all'aeroporto Jerry, dopo che l'uomo è sceso dall'auto, la ragazza vede un padre che abbraccia felice la moglie ed il figlio al ritorno da un viaggio e si proietta in quella condizione con il volto estasiato e sognante. Latte alle ginocchia. L'accumulo di scene madri poi è la martellata finale in mezzo alle gambe: come si fa a non ridere, per esempio, quando Jerry, dopo il trionfo del suo pupillo, sentendo Rod che parla innamorato alla moglie al telefono, corre dall'amata Dorothy e le dichiara tutto il suo amore davanti al circolo delle divorziate starnazzanti che vorrebbero fare a meno degli uomini? Come si fa a credere, anche solo per un istante, che dopo che ha segnato il punto decisivo per la sua squadra, Rod rimanga a terra senza sensi, rovinando così la tanto attesa festa sua e di Jerry? E cosa dire della scena in cui mentre Rod abbraccia il suo procuratore come un fratello, un giocatore che assiste alla scena, si rivolge al suo odioso procuratore Bob Sugar, il rivale di Jerry, e gli domanda seccato: "Perché io e te non abbiamo un rapporto così?" Alcuni personaggi sono volutamente detestabili e troppo unidimensionali (come per esempio Bob Sugar o la moglie urlante e facilmente irritabile di Rod). Paradossalmente sono proprio quelli più caricaturali (Avery Bishop, ex amante di Jerry, interpretata da Kelly Preston) che conservano un fondo di verità. Almeno lei non finge e dice tutta la "brutale verità". Da applausi il suo sfogo furibondo con Jerry: "Jerry, certe persone hanno dentro di sè una specie di sensibilità: io non l'ho mai avuta. Io non piango al cinema, non mi commuovo davanti ai neonati, non comincio a festeggiare il Natale cinque mesi prima e non dico a un uomo che ha appena distrutto la sua vita e la mia: oh povero amore! Io sono fatta così nel bene e nel male!" Il suo congedo da Jerry prendendolo a calci e pugni in faccia è grossolano, ma almeno strappa una (l'unica) risata. Sul disarmante finale, poi, con la famigliola felice a passeggio al parco, è meglio soprassedere. Un film talmente banale, corrivo e vuoto da risultare inconsistente e, cosa ben più grave, per nulla credibile. Si può così anche accettare il clamoroso successo commerciale del film (160 milioni di dollari negli States, 9 miliardi delle vecchie Lire in Italia), ma gli spropositati e sospetti elogi critici fanno inevitabilmente assumere un atteggiamento del tutto negativo ed irritato verso "Jerry Maguire". "Elizabethtown" del 2005 che affronta un soggetto molto simile (un ragazzo sulla cresta dell'onda che viene improvvisamente licenziato e ritrova la voglia di vivere solo grazie all'amore di una bella fanciulla), pur con le lungaggini ed i difetti tipici del cinema di Crowe, al confronto è molto più sincero, scorrevole e godibile. Prodotto dall'abile James L. Brooks (regista di "Voglia di tenerezza" e "Qualcosa è cambiato"), proprio come l'esordio alla regia di Cameron Crowe. Beau Bridges compare non accreditato (è il padre del numero 1 dell'ingaggio Matt Cushman, la cui parola è solida come una quercia). I ruoli di Jerry e Dorothy inizialmente erano stati scritti per Tom Hanks e Winona Ryder.
Voto: 4
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