Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film
BERLINALE 2018
Pazza lei o vittima di un folle ben più diabolico ed insinuante che da anni tenta di averla in pugno come un trofeo prezioso?
L’ossessione, ecco ciò che Soderbergh cerca di sondare in questa sua ultima avventura cinematografica, istigandoci al dubbio per almeno tutta la prima parte della concitata vicenda, che vede la giovane Sawyer Valentini detenuta contro la sua volontà presso un celebre istituto per la cura di disturbi mentali, costretta ad un soggiorno forzato di una settimana, giusto il tempo che permette alla struttura di ricevere la retta di base stanziata dal governo locale per la cura di pazienti affetti da turbe psichiche.
Sawyer in effetti ha vissuto momenti difficili in un recente passato; ha dovuto cambiare casa, trasferirsi altrove cercando l’anonimato per sfuggire alle azioni di uno spietato ed assai ben organizzato stalker che tenta di insediarla psicologicamente e fisicamente da tempo. L’auto richiesto ad uno psicologo, si trasforma in un vero e proprio incubo, riconoscendo la ragazza altresì che il suo persecutore ha escogitato il modo per farsi assumere nella struttura chela cura forzosamente, per agire a suo piacimento sulla donna.
Ma è davvero così (la clinica specula sulle persone deboli per lucrare sui finanziamenti statali legati ai ricoveri di base ed esiste davvero il maniaco che la insedia da anni), o la ragazza soffre seriamente di turbe psichiche e manie di persecuzione incontrollate?
Steven Soderbergh, che dirige benissimo (con o senza I phone 7, francamente non ha molta importanza e non se ne comprende l’utilità, se non in termini pubblicitari, considerato che le riprese appaiono pulite e nette come se l’ipotetico cellulare fosse fissato come una vera telecamera, e tenuto conto che il regista americano è il re della bufala premeditata ma senza vero costrutto se non il business, secondo la quale peraltro egli avrebbe dovuto abbandonare per sempre il mondo del cinema al compimento dei 50 anni occorsi col film Behind the Candelabra) questo suo sadico ritorno al thriller con sfumature horror per lui pressoché inedite, gioca sulla tensione psicologica, arrivando a snervare lo spettatore e a coinvolgerlo talmente nell’isteria di situazioni violente e sopra le righe, da rendersi responsabile della creazione di una macchina da suspence di fatto improbabile ed esagerata, ma dagli effetti insieme coinvolgenti e disturbanti.
Ecco allora che la turbata protagonista diviene una vera e propria eroina sacrificale, disposta a non arrendersi tanto facilmente quando, dalla parte della ragione di facciata, si schierano convinte e sorde le istituzioni ufficiali e la medicina più professionale ed apparentemente scrupolosa.
Il regista tenta ogni strada per toglierci il fiato, tramite emozioni forti o per soffocamento, rinchiudendoci assieme alla sempre più sconcertata protagonista, dentro una trappola subdola perfetta, tanto folle da risultare impossibile considerarla tale, e invertendo ai danni della nostra sventurata eroina, il tanto anelato onere della prova.
Efficace e vitale la prova della protagonista, la già nota Claire Foy, mentre Joshua Leonard è il maniaco più inquietantemente rassicurante a cui si possa pensare, dopo averlo visto impegnato in questo complesso ruolo da co-protagonista controverso e deviato.
Nel ruolo della madre della protagonista, ci fa piacere ritrovare Amy Irvin, mentre Juno Temple aggiunge alla sua collezione di personaggi sciroccati, quello della violenta malata di mente che tormenta le notti già insonni della povera protagonista.
Infine in un cameo d'eccezione, ci si para davanti con un bell'effetto scenico, un attorone di primo livello, uno della famiglia Ocean, tanto per non fare nomi, ed interprete di riferimento nella nutrita filmografia di Steven Soderbergh.
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