Regia di Anthony Minghella vedi scheda film
Il polpettone è un genere nobile. Raramente il polpettone annoia tutti, perché il pubblico tipico del polpettone cerca tutto ciò che il polpettone offre, non saprebbe fare a meno di nessun ingrediente messo nella pentola, ha bisogno di una valanga di cose per poi poter dire “è un film in cui ci sta tutto”. Che poi non è vero, ma lo spettatore medio, nella bontà della sua ingenuità, non si rende conto che c’è solo un’accozzaglia mal organizzata di roba. Il film di Minghella ne è la prova. Non è ovviamente brutto, anche perché il compianto Anthony faceva parte di quella solida scuola di registi anglosassoni capaci di dirigere con classe. Il paziente inglese è quello che ti aspetti, ma anche no, perché il problema sta proprio nel suo genere di appartenenza: tra i polpettoni non è il più riuscito, nonostante metta in gioco tutti gli elementi possibili (romanzo di successo, cast internazionale, estremo dispiego di mezzi, lunga durata, storia d’amore), perché non dosa sempre bene fluidità e grinta, dimentica ogni tanto il valore della leggerezza e mette qua e là un po’ troppa carne al fuoco per essere davvero digeribile. In ogni caso, il film c’è, per quanto imperfetto, e quelle due ore e rotte di evasione te le fa passare, nonostante i limiti e i difetti. È un cinema che pensa in grande con intelligenza, e, in qualche modo non ci dispiace.
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