Regia di Giuseppe Bertolucci vedi scheda film
Uno degli esiti più felici nella filmografia di Giuseppe Bertolucci, una galleria dolente e surreale di figurine stralunate alle prese con la vacuità dell'esistenza, immerse nella struttura corale dell'affresco ed in un coinvolgente gioco di incastri-incroci-incontri tra le miserie dei vari personaggi, capeggiati dallo psicologo Dario (Diego Abatantuono), novello Don Giovanni, dal suo amico Mario (Massimo Venturiello), vecchio compagno di scuola che, incontrato dopo una decina d'anni, gli muore davanti mentre gli confessa i suoi tradimenti coniugali, e dalle quattro donne che gli attraversano la vita, dalla fidanzata Nora (Lina Sastri) ad Anna (Monica Guerritore) e Ester (Amanda Sandrelli), rispettivamente moglie e amante di Mario, fino alla schizofrenica Silvia (Domiziana Giordano), una sua problematica paziente invaghitasi di lui, tra le quali dovrà sceglierne una per accompagnare le sue giornate sempre più vuote e senza passioni. Questa propensione alla rarefazione del racconto in cifre surreali esploderà compiutamente e definitivamente nelle opere successive (I cammelli e Troppo sole, ad esempio): qui Bertolucci riesce ancora a bilanciarne gli effetti stranianti sulla narrazione innestandoli in una lucidissima e disperata cronaca di quotidiani grigiori esistenziali, squarciandone con poetici scarti drammaturgici i toni eccentrici e le atmosfere più dimesse (il bambino con il palloncino viola nella sequenza in ospedale). Esige, ed ottiene, inoltre, il meglio dall'eterogeneo cast d'interpreti, a partire da un misurato Diego Abatantuono, efficacissimo nel tradurre con essenzialità di gesti la quotidianità quasi banale del suo Dario, ad una radiosa e magnetica Monica Guerritore, fino ad una dirompente Maria Monti, agli esilaranti Claudio Bisio (memorabile quando si accosta alle fantomatiche "macchie di Rorschach") e Nik Novecento (che purtroppo morirà, a soli 23 anni, stroncato da un attacco cardiaco poco dopo l'uscita del film), alle sempre impeccabili Lina Sastri e Domiziana Giordano. Girato tra Roma e Tarquinia, tratto dal romanzo di Giovanni Pascutto (alias Giovanni Bongiorno, romanziere friulano autore, tra gli altri, di Tre locali più servizi e già avvezzo al mondo del cinema per la collaborazione alla sceneggiatura di Piccoli fuochi di Peter Del Monte), che collabora con Bertolucci anche alla stesura del copione, impreziosito ulteriormente dalla fotografia solare di Renato Tafuri e dalla suggestiva colonna sonora di Nicola Piovani, Strana la vita brilla, nel panorama asfittico del cinema italiano alla fine degli anni Ottanta, per la vitalità dello sguardo e la grazia crepuscolare dello stile, che non indugia mai nel facile sentimentalismo e riesce anche a sfiorare momenti di toccante commozione, come la candid camera col finto suicida o nel delizioso e malinconico finale (differente, tra l'altro, da quello del romanzo), con la danza conclusiva delle tre spasimanti di Dario riunite nel parco, contrappuntata ironicamente da tre suore vestite di bianco che giocano a nascondino: Dario le ha invitate tutte e tre, si nasconde dietro un albero per non farsi vedere e le osserva, quasi curioso di scoprire chi di loro lo aspetterà per più tempo. Finchè, però, nel parco non resterà più nessuno.
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