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Chinatown

Regia di Roman Polanski vedi scheda film

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La recensione su Chinatown

di carlos brigante
10 stelle

Chinatown è un film che guarda e omaggia il cinema noir anni '40 sin dai titoli di testa, ma che ha come (primo) merito quello di non essere una mera fotocopia priva di anima di quel "cinema che fu", quanto semmai un'opera che amplifica e rinnova alcune caratteristiche tipiche del genere. La trama si snoda intorno alla figura del detective privato Gittes (Jack Nicholson) che viene assoldato da una donna per scoprire l'infedeltà del marito. Da qui in poi si diparte in trame e sottotrame in un gioco di intrecci magistralmente incanalato da una sceneggiatura priva di sbavature.

Polanski attinge dal genere hard boiled per il suo detective privato Gittes, con quel misto di spavalderia e spacconeria che lo contraddistingue, ma lo fa avvicinandosi più che al Marlowe "supereroe" di Bogart, a quello interpretato da Dick Powell ne L'ombra del passato e da Elliot Gould ne Il lungo addio di Altman uscito nelle sale solo un anno prima.

Il personaggio di Gittes rappresenta a pieno la figura dell'antieroe del cinema anni 70 e che deflagrerà definitivamente con il Travis Bickle di Taxi Driver e il Jimmy Angelelli di Rapsodia per un killer.

Un uomo contro tutti. Un uomo che seguendo i propri ideali si scaglia con forza contro un sistema più grande di lui. Sistema che affonda le proprie radici nelle sabbie mobili di una società corrotta e senza scrupoli, dove i ficcanaso non sono ammessi.

Ed è qui che aleggia l'ombra della "fantomatica" Chinatown, luogo/non-luogo che sin dalle prime battute viene evocato. Metafora dell'ambiguità strisciante che si respira in America, dove tutto scorre e quel che accade, accade e basta.Metafora portatrice in sé di disillusione, impotenza e fatalismo. "Lascia stare Jack, è Chinatown". Davide contro Golia; ma stavolta la fionda non abbatte il gigante, qui impersonificato da John Houston nel suo Noah Cross che per certi versi non può non fare pensare ai vari Kane o Arkadin wellesiani.

Chinatown è un'opera monumentale che amplifica ed esplicita i lati oscuri del genere noir anni 40, coadiuvato da una sceneggiatura blindatissima che lascia pochissimo spazio ai momenti leggeri; da una regia che sa controllare al millimetro il ritmo, dando i giusti tempi a dialoghi, sguardi e punti di vista; da una fotografia che passa con disinvoltura dai torbidi bui notturni al giallo paglierino delle torride giornate californiane; dalle interpretazioni di Nicholson e della Dunaway che con la sua laconica femme fatale amplifica quel senso di impotenza e tristezza che aleggia nell'aria.

"Fare il meno possibile" sarebbe la via più facile e comoda per tutti, ma qualcuno deve pur combattere il sistema. Peccato, però, che il sistema sia inscalfibile e che non vi sia via di scampo per nessuno.

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