Regia di Antonio Capuano vedi scheda film
Un'occasione sprecata per il regista e per Napoli.
La rivoluzione deve partire dal basso nella Napoli neo-melodica non si può cantare in italiano. Il dialetto è la lingua della canzone napoletana che non può uscire dal suo gergo, dalla sua disperata vitalità e dal suo sentimentalismo estremo. La missione del nostro autista-artista è quella di invertire il percorso che porta gli artisti locali a partire dall’idioma partenopeo per arrivare alla lingua nazionale per affermarsi nel mercato musicale. Le radici pesano ma il nostro non vuole sfruttare il suo accento e insieme al suo impresario e al suo autore di liriche italiche prova la sua rivoluzione culturale. Il pubblico del terzetto è quello più difficile dei matrimoni che si vuole solo divertire ma è qui che bisogna coltivare e vedere come crescono le novità. Achille deve combattere con una famiglia che lo osteggia, con i condomini che non ne possono più del rumore che produce e un padre che non lo sente veramente napoletano. Il sogno artistico non assorbe tutto il tempo del nostro che tra una corsa e l’altra trova lo spazio per le donne. La morte del padre rende necessaria per la madre vedova e anziana, una badante della quale fatalmente il nostro si innamora. Lei apprezza le canzoni del Tarallo e accetta di fuggire con lui che si lascia dietro tutto anche il matrimonio di una lontana parente di un famoso cantante. Il finale è da cani da l’impressione di un’occasione persa nel quale si poteva mettere l’arte al centro di tutto. Il film comincia citando Garrone e poteva essere una riflessione sugli stereotipi musicali partenopei e finisce con la solita commedia dove tutti cantano e ballano e nessuno soffre più. L’unica soluzione appare quella di fuggire dalla città per il proprio sogno d’amore.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta