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The Harvest

Regia di Andrea Paco Mariani vedi scheda film

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La recensione su The Harvest

di lamettrie
8 stelle

Vero. Un importante e serio musical docu-fiction sulla società italiana e le sue ingiustizie economiche.

La denuncia che questo film muove è di primaria rilevanza: quella sul reale fenomeno, e gravissimo, dello sfruttamento degli immigrati, i quali, proprio perché immigrati, hanno molti meno mezzi per far valere i propri diritti, e dunque per evitare di farsi sfruttare.

Il lato documentaristico mostra proprio tale dramma, ampiamente sfruttato dal capitalismo, che attraverso la sua versione globalizzante inganna anche i migranti, illudendoli di chissà quali miglioramenti della propria condizione. Quando invece qui si trovano a patire la fame, in condizioni che legittimamente nessun italiano vuole più, ovviamente tutelato da quel minimo di diritto che c’è ancora, figlio della Resistenza e del ’68, più che altro; non certo delle classi imprenditoriali, per quanto “illuminate…pensose del bene comune…che danno una mano” vengano fatte passare da quasi tutti i giornali. I cui articoli, ingannevolmente laudatori, sono scritti, quasi sempre, proprio da giornalisti servi dei medesimi ricchi disonesti.

14/16 ore di lavoro al giorno, 7 giorni su 7, a 3 euro all’ora, in nero, senza i diritti più elementari: questa è storia e realtà per centinaia di migliaia di lavoratori in Italia, specie al Sud ma non solo, sfruttati da pochi ricchi che guadagnano così proprio perché risparmiano, nel riuscire a trovare chi non ha apparenti alternative alla criminalità esercitata da queste minoranze facoltose.

Il film è apprezzabile anche sotto il profilo antropologico, per la restituzione della realtà dei sikh: una popolazione di origine indiana che vanta forse 100mila esponenti in Italia, tantissimi ormai; che ha una compattezza notevole, dovuta all’ancoraggio ad una nobilissima religione monoteista, di cui da poco si può trovare in commercio anche la traduzione italiana del loro libro sacro, il monumentale Guru Grant Sahib, uno dei gioielli della mistica di tutti i tempi.

Fedeli (in media!) molto più coerenti che quelli di altre fedi. Ma fedeli che il film mostra costretti a drogarsi pur di resistere alla fatica disumana dello sfruttamento, seppur ciò sia del tutto contrario ai loro precetti. In una provincia, quella di Latina, che non è nemmeno quella del loro maggior radicamento (che è in altre zone agricole, come quelle della pianura padana); ma dove a giugno scorso i responsabili di un’impresa agricola, come quella qui rappresentata, hanno buttato davanti a casa sua, mezzo morto, assieme a sua moglie, Satnam Singh, con un braccio mozzato: un sikh che poco dopo sarebbe morto proprio per l’infortunio, sul lavoro, non curato. Un sequel, tanto imprevisto – ma di certo non imprevedibile - quanto orribile di questo film.     

Il film è apprezzabile anche per le scelte estetiche. Paga lo stile musical, con una rockband vera - da cui proviene Steven Hogan, bravissimo anche nei panni del capo-aguzzino -, e un altrettanto vero corpo di ballo del Punjab, terra di provenienza dei sikh. I quali hanno tradizioni straordinarie, non solo per la religione e la danza: ma anche per l’abbigliamento tipico; la musica; la cucina – la migliore della straordinaria gastronomia indiana –; le arti marziali, segno di un’attitudine guerriera – nata per difesa - che è leggendaria.

Ma, del breve ma intenso film di Mariani, si apprezzano anche la fotografia – specie del paesaggio - e il montaggio – specie nel monologo del capo disumano al momento della consegna della paga, vergognosamente bassa.  

Un film veloce, (73 minuti), chiaro, fine, da far vedere ovunque. Ma soprattutto nelle scuole, in particolare nelle medie.  

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