Regia di Adina Pintilie vedi scheda film
FESTIVAL DI BERLINO 2018 - ORSO D'ORO/ CINEMA OLTRECONFINE
Laura è una cinquantenne che non sopportava il contatto fisico, e per questo misura, testa, esercita la sua libido pagando escort maschili che si esibiscamo davanti a lei senza tuttavia procedere ad alcun contatto. Per cercare di curare questa sua destabilizzante fragilità emotiva e comportamentale, che finisce per opprimerla e relegarla alla inevitabile solitudine, decide di frequentare una clinica ove si tengono corsi sulla presa di coscienza ed accettazione del proprio corpo e di quello altrui.
In quel posto ovattato e fuori dal mondo, si guadagna da vivere un ballerino calvo di nome Tudor che, pur attraente e di buon carattere, vive male questo suo essere completamente glabro, circostanza che non gli permette di fare breccia sulla ragazza che ama da tempo. Inoltre un paziente di nome Christian, gravemente afflitto da atrofia muscolare, che partecipa alle sedute assieme ad altri disabili, viene ripreso a riflettere sulla propria seria condizione, ma anche nel suo desiderio di rivalutare ciò che di funzionale e addirittura attraente una natura con lui beffarda ha saputo dargli: elementi e caratteristiche finalmente stardardizzabili ed omologabili a chi vive in un fisico normale e non in una prigione corporea come la sua.
Il racconto dei tre si interseca sotto forma di fiction, mentre la regista in persona appare a riprendere se stessa in procinto di girare il documentario dei tre soggetti che in qualche modo si rapportano ognuno con le proprie difficoltà ad accettare se stessi e chi ha l'occasione di incrociali, toccarli, percepirli.
Opera prima della regista romena Adina Pintille, omonima del recentemente scomparso Lucian, "Touch me not", da una parte e sulla carta, appare un interessante ed inedito compromesso tra fiction e documento.
Dal lato pratico, invece, frana pesantemente verso il baratro di una vera e propria pornografia smodata senza remore: e non tanto nel senso dei centimetri di carne messa a nudo o scoperta senza problema alcuno: la pornografia qui è d'intenti, tutta studiata nei riflessi che la ripresa compiaciuta ed offensiva si proietta sui casi umani presi in considerazione, con particolar riguardo al malato di SMA sbavante e dal timbro vocale deformato e liquido, sfruttato da uno sguardo compiaciuto di una macchina impudica che spoglia a fini morbosi sondando nei particolari più intimi, atteggiamenti che non andrebbero ostentati e sfruttati in modo così bieco e strumentale.
Come se non bastasse, il viso catatonico della regista, che si riprende simulando i preparativi del documentario che raccorda le tre vicende, non fa che accrescere un senso di disagio ed ostilità verso una pellicola disonesta e biecamente calcolatrice.
Impossibile riuscire a comprendere le ragioni di un premio cosi forsennatamente azzardato, conferito alla Berlinale 2018 a questo film dai membri capitanati dal regista Tom Tykwer. Ingiustificabile.
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