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Delirium

Regia di Johnny Martin vedi scheda film

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La recensione su Delirium

di scapigliato
8 stelle

Il POV è stato per il cinema horror una disgrazia. Il montaggio non solo ti tiene sveglio, cosa che il piano sequenza da POV non può tecnicamente fare, ma dà una grammatica al testo filmico e di conseguenza un linguaggio, più o meno efficace, con cui rappresentare temi e motivi di una storia. Il POV puro, mancando di montaggio è l’antitesi stessa dell’horror perché mancano i presupposti linguistici per il suspense, il thrilling, il jumpscare e così via. Se si crede poi che la soggettiva possa essere efficace come tecnica per creare tensione basta rivedersi la quasi totalità dei POV horror per rendersi conto della fatica con cui tali film possono raggiungere una sufficienza estetica come narrativa. Pochi titoli si sono salvati a questa disgrazia. A parte il capostipide The Blair Witch Project (Eduardo Sánchez e Daniel Myrick, 2000) che già non era nulla di che all’epoca, ma come fenomeno cinematografico ha chiaramente i suoi pregi e quindi accettabile come prodotto di genere, si salvano diversi titoli su circa un centinaio: il seminale REC (Jaume Balagueró e Paco Plaza, 2007), Diary of Dead (George Romero, 2007), Cloverfield (Matt Reeves, 2008), Trollhunter (André Øvredal, 2010), Chronicles (Josh Trank, 2012), Evidence (Howie Askins, 2012), L’altra faccia del diavolo (William Brent Bell, 2012), Wer (William Brent Bell, 2013), il gioiellino spagnolo La cueva (Alfredo Montero, 2014) e La stirpe del male (Matt Bettinelli, 2014). A questi, oggi si aggiunge anche Delirium di Johnny Martin.

Non solo i giovani attori protagonisti sono dignitosamente in parte, ma anche perfettamente calati all’interno del contesto POV che deve, ancor più di un film classico, ricreare la realtà con un’ottica zavattiniana – ottica che ben si sa non era possibile, se non teoricamente, già durante il neorealismo. Inoltre, il regista ibrida il POV con uno sguardo oggettivo e questo non tradisce la purezza del metodo found footage, bensì permette di dare un’anima cinematografica, ovvero l’autorialità del prodotto, all’intero film.

Così, la classica avventura testosteronica in cui i giovani ragazzi alfa vogliono mostrare i muscoli varcando il portico di una villa abbandonata e maledetta non è solo una rivitalizzazione del filone delle haunted houses, oggi ormai inflazionato e tedioso un po' come i bambini fantasma da Samara in avanti, ma si trasforma pure in un riuscitissimo esempio di teen horror tutto al maschile – rarità ben accolta – dove l’inquietudine è reale e palpante e i momenti scary sono davvero impattanti e non telefonati. I brividi, sono reali.

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