Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
Scorsese si riprende il Cinema e grazie ad un sontuoso budget crea il suo lascito: l'epopea definitiva sul crimine a stelle e strisce con uno straordinario Robert De Niro, un redivivo Al Pacino ed il ritorno del grande Joe Pesci.
Martin Scorsese torna a fare Cinema (con la C maiuscola).
Frank Sheeran è un veterano della Seconda Guerra Mondiale che lavora come camionista per una compagnia della Pennsylvania. Il suo è un lavoro duro che inizialmente gli permette di sostenere in maniera onesta la sua famiglia; tuttavia, dopo l'arrivo della secondogenita, il semplice trasporto di quarti di bue sembra non bastargli più. Si offre così ad un mafioso locale per arrotondare lo stipendio, procurando al gangster ed i suoi sodali carne fresca, rubata dal suo stesso mezzo di trasporto.
Ben presto viene -prevedibilmente- beccato con le mani nel sacco, rischiando un rapido licenziamento: a difenderlo sarà Bill Bufalino, avvocato di una famiglia criminale di Filadelfia che riuscirà nell'impossibile compito di far assolvere l'operaio, una conclusione facilitata anche dal forte ed influente sindacato dei "truckers" americani, guidato dal famigerato Jimmy Hoffa.
Da questo punto in poi Frank entra nelle grazie di Russel Bufalino, cugino di Bill e boss della succitata famiglia, divenendone immediatamente "l'imbianchino" di fiducia, ossia il sicario. L'ascesa è veloce, tanto che dopo pochi mesi Russel lo presenta proprio a Hoffa (in affari finanziari coi Bufalino), bisognoso di una guardia del corpo a causa dei suoi cattivi rapporti con altre famiglie mafiose d' America. Hoffa e Sheeran diverranno presto amici intimi, al punto che il sindacalista arriverà a considerare Peggy Sheeran alla stregua di una figlia.
Passano gli anni e, un'esecuzione dopo l'altra, Frank è ormai un mafioso a tutti gli effetti, ricoprendo anche il ruolo (offertogli da Jimmy) di capo di una importante sezione sindacale; dal canto suo Jimmy Hoffa viene prima arrestato per corruzione, per poi subire una condanna a morte proprio da quella mafia che continua ad osteggiare, pur essendone stato connivente per anni: i boss del nord della Pennsylvania, con Tony Provenzano e Tony Giacalone su tutti, decreteranno la sua esecuzione proprio per mano di Frank, il quale dovrà decidere se assolvere al suo compito o mettere l'amicizia davanti a tutto...
24 anni dopo Casinò, Martin Scorsese e Robert De Niro tornano a lavorare insieme in un lungometraggio, facendolo in una produzione targata Netflix e con altri due mostri della recitazione: Al Pacino e Joe Pesci. Attraverso il perfetto connubio di cineasti italoamericani nasce The Irishman, un film epico sulla malavita organizzata americana che narra vicende e personaggi reali in un arco temporale di quasi sessant'anni di storia.
Diciamo subito, senza troppi giri di parole, che la pellicola di Scorsese è di altissimo livello qualitativo, un lavoro enorme che ci riconsegna un regista nuovamente al top della cinematografia e un'opera (finalmente) altra rispetto alle cascate di comic-movies piovuti sulle nostre teste negli ultimi 15 anni. Per chi ama la Settima Arte si torna finalmente a respirare aria di vero Cinema, grande recitazione, grandi costumi e grandi scenografie. Insomma, The Irishman stupisce e ci fa rivivere, con le dovute differenze, l'epopea dei grandi classici del passato come C'era una volta in America, Il Padrino, Quei bravi ragazzi e così via.
Non credevo fosse possibile, ma evidentemente mi sbagliavo: che la "vecchiaia" fosse sinonimo di saggezza era cosa nota, ma che si potesse addirittura migliorare col passare del tempo, lo si pensava solo del vino... Almeno fino a quando il buon Martin si è messo in testa di affrontare quella che, spero di sbagliarmi ancora, sarà la sua ultima grande performance, il suo lascito: The Irishman è un film totale, un capolavoro, con l'unico difetto di durare 3 ore e mezza. Ma questo non vi ricorda niente? I tre film citati pocanzi, ma anche alcuni capisaldi appartenenti ad altri filoni come Apocalypse Now o Il Cacciatore, hanno in comune proprio l'estrema durata. E' chiaro che quando un cineasta ha tra le mani del materiale del genere gli diventa difficile tagliare qua e la, ed ancor più improbo sottostare ai dictat del Weinstein di turno; in questo bisogna dare merito alla Netflix per aver creduto nel progetto e dato mano libera e "pieni poteri" (inopportuna locuzione di questi tempi) alla creatività del regista newyorkese che, peraltro, ha potuto contare su un sontuoso budget.
La pellicola narra vicende note nel panorama investigativo americano, con alcuni personaggi famosi anche dalle nostre parti; ognuno di questi, nell'opera, viene magistralmente interpretato da attori che, per l'intera durata del film, risultano tutti costantemente al top: Al Pacino, tanto per cominciare, torna ai suoi livelli con una prova maestosa in un ruolo dal carattere complicato, irascibile e molto permaloso; Joe Pesci, che per sua scelta è rimasto fuori dal giro da (troppo) tempo, è semplicemente straordinario, quasi delicato, pur interpretando un boss senza scrupoli; Harvey Keitel, con un ridotto minutaggio a causa della marginalità del suo personaggio, è strepitoso e paurosamente convincente. E poi, poi c'è lui, mister Robert De Niro, Bobby Milk, il più grande attore vivente autore di una prova superlativa, da Oscar assicurato, senza se e senza ma. Bob ricalca alla perfezione il profilo di un personaggio chiave di Cosa Nostra del periodo a cavallo tra gli anni cinquanta e settanta del Novecento, un timido camionista irlandese, padre di famiglia, trasformatosi senza troppe remore in spietatissimo killer al soldo di criminali italoamericani, il tutto, come dicevamo, in un ampio arco temporale attraverso il quale De Niro ritrova quel trasformismo che l'ha reso celebre e immortale.
Fantastiche alcune sequenze nelle quali riusciamo a intravedere prima l'esitazione, poi la determinazione in quegli occhi chiari dovuti ad efficaci lenti colorate; un ruolo, questo, perfettamente eseguito secondo la dettagliata descrizione dello scrittore Charles Brandt, autore del romanzo da cui il film è tratto. Sheeran è laconico, cinico, impenetrabile e Robert De Niro ci porta direttamente nella mente di quel sicario che racconta in prima persona gli eventi, ormai ultraottantenne, da una casa di riposo vicino Filadelfia.
Scorsese, stavolta, aggiunge anche due non trascurabili novità: la presenza di una certa dose d'ironia, con almeno tre scene esilaranti, e la scelta di non forzare troppo la mano sulla fotografia, come fatto in passato per il cult-movie Taxi Driver o per altri film già citati.
Tardivo ma necessario, l'aspetto che più colpisce del film è il lato umano. Sembrerà assurdo ma è forse quello più tagliente dell'intero lavoro, più degli stessi omicidi, delle pistole buttate nel fiume, degli amici traditi, delle targhe commemorative, delle scazzottate, dei luoghi comuni ("ma tutti Tony si chiamano gli italiani?"), più degli sguardi tra De Niro e Pesci, delle parole non dette, delle pause sigaretta delle mogli dei due protagonisti in viaggio verso Detroit, più dei dettagli, delle Cadillac o delle pistolettate dietro la nuca. In The Irishman, la vera protagonista è donna e si chiama solitudine.
Sono aperte le scommesse sulla prossima cerimonia degli Oscar, allorquando (a mio modesto avviso) almeno tre statuette verranno assegnate a The Irishman: a Scorsese per la regia, a De Niro per il migliore attore protagonista e ad uno tra Joe Pesci ed Al Pacino per il non protagonista, ma potrebbe esserci anche un ex-aequo...
Voto all'opera: 10
Voto al cast: 110 e lode
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