Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
Martin Scorsese non ha più nulla da dimostrare. Ergo, “The Irishman”, è una lunga orazione funebre ad un tempo e ad un’epoca in cui la morte è uno stato di necessità al termine di una vita (criminosa). Scorsese racconta l’America attraverso gli occhi azzurri di Frank Sheeran, da camionista a killer fino a braccio destro del carismatico e discusso sindacalista dei camionisti Jimmy Hoffa. I gangli della mafia, i tentacoli e i condizionamenti nella storia di un Paese: il milione di camionisti iscritti alla Teamsters, i fondi pensione milionari per finanziare Las Vegas e ingrassare i boss, i Kennedy, Cuba e la Baia dei Porci, Nixon e la sparizione di Hoffa medesimo nel ’75. E poi ritratto di uomini, violenti, potenti, spietati e in perenne conventicola per limare e aggiustare faccende – sempre al limite del lecito. Uomini leali e traditori. Un trattato di antropologia criminale distillato in tre ore e mezzo di film in cui il regista italoamericano si traveste da classico: mantenendo la struttura originaria da “Mean Streets” in poi, canzoni che fanno da tappeto sonoro allo scorrere narrativo di eventi. Un ciclo della vita dal rigido codice delinquenziale, con la differenza che qui il ritmo è dilatato.
“The Irishman” potrebbe essere una pellicola di Denis Villeneuve: lenta e inesorabile; il montaggio rilassato anti Scorsese anni novanta; i ralenti alla De Palma; le interpretazioni Coppoliane alla Shakespeare. Asciutto e con pochi botti. E quei pochi esplosi in faccia, per cancellare i connotati. “Dove c’è un uomo c’è un problema. Nessun uomo nessun problema”, diceva il nemico dei mafiosi Josif Stalin. Eppure la soluzione è questa, anzi è quello che è ed è stato fatto tutto il possibile, dunque la fine è giunta. Come Dei in terra.
Robert De Niro dà al suo irlandese Sheeran la forza e l’impassibilità dei classici John Wayne o Robert Ryan, unita al digitale de-anging e a un rimorso imprescindibile. Fedele e servile, deciso e rassegnato, infine solo e sconfitto. Joe Pesci è un pacioso e determinato Russell Bufalino. Al Pacino un Hoffa campione di istrionismo e scatti. Sublime e una spanna sopra gli altri. Harvey Keitel di poche pose e parole resta comunque ben impresso. Il volgare Tony Pro è un ottimo Stephen Graham. Macchiettistico il Tony Salerno di Dominick Lombardozzi. Buoni il Crazy Joe di Maniscalco e gli altri interpreti di contorno. Brava ma un po’ sacrificata la dolente Peggy Sheeran di Anna Paquin, abbozzate le altre due figure femminili. La versione originale nelle sale è uno schiaffo alla pratica mafiosa del doppiaggio italiano.
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