Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
Frank Sheeran (Robert De Niro) è un uomo di più di ottant’anni costretto ormai a vivere sulla sedia a rotelle. L’immobilismo forzato lo porta a ricordare i suoi migliori anni. Veterano della seconda guerra mondiale, Frank lavora come camionista facendo affari illegali. La svolta avviene quando incontra Russell Bufalino (Joe Pesci), boss della mafia di Filadelfia, che subito lo inserisce nella sua organizzazione facendone il suo sicario più affidabile. Dal loro incontro ne nasce una profonda amicizia, che lega anche le rispettive famiglie. Il loro sodalizio è così forte che Bufalino pensa che Frank sia il tramite più adatto tra la loro organizzazione è Jimmy Hoffa (Al Pacino), il potente e carismatico leader del sindacato dei camionisti. Tra Frank e Jimmy Hoffa nasce un forte amicizia, al punto che l’ex camionista ne diventa il consigliere più ascoltato.
Frank Sheeran, Russell Bufalino e Jimmy Hoffa, tre uomini legati l’un l’altro da un sentimento di profonda amicizia. Ma il mondo del malaffare disegna sottotraccia le sue trame occulte, capovolgendo ogni volta ogni cosa. Attraverso i ricordi di un vecchio sicario della mafia si dipanano i percorsi di vita di tre personaggi : al fianco della storia degli Stati Uniti e dentro i meccanismi di potere della mafia.
“The Irishman” di Martin Scorsese è un film dal respiro ampio e magniloquente, un affresco storico che avvolge e coinvolge un intero paese pur rimanendo circoscritto al mondo del malaffare e con l’occhio esclusivamente puntato sul resoconto esistenziale di un triangolo amicale. Quello che si instaura tra Frank, Russell e Jimmy rappresenta il motore del film, un rapporto fraterno che si snoda secondo il più classico movimento circolare che va dall’amicizia leale al tradimento potenziale. Frank Sheeran è il fulcro di una storia che si dipana lungo gli ultimi cinquant’anni del novecento, da quando conosce Russell Bufalino, diventandone intimo amico e fedele affiliato della sua organizzazione malavitosa, a quando è un anziano signore sulla sedia a rotelle, intento a rievocare con fare nostalgico gli anni più incandescenti della sua vita. Passando per l’amicizia col potente sindacalista Jimmy Hoffa, la cui misteriosa scomparsa rimase per molti anni irrisolta. Il centro di tutto è Frank, si è detto : Russell Bufalino ne coglie l’assoluta affidabilità associata alla faccia di “uomo qualunque”. Jimmy Hoffa la saggia bonomia che gli serve allo scopo di stemperare la sua irruenta megalomania.
Martin Scorsese imbastisce una perfetta sinfonia a tre, che pur suonando armoniosa per l’equilibrio corporativo che si crea tra i tre sodali, non manca di covare sotto la sua sottile epidermide le trame occulte dell’intrigo, determinate dai continui rivolgimenti dei rapporti di forza e dalla legge non scritta del “chiodo schiaccia chiodo”. Quella “sempiterna” legge del crimine, insomma, che Scorsese dimostra (ancora una volta) di maneggiare con raffinata disinvoltura, insinuandola nei dedali di un cameratismo adulto che vive di compromessi a tempo e della virile lealtà machista. Perfettamente funzionali allo sviluppo della storia sono i sinuosi movimenti di macchina : le carrellate (tante), che generano simmetrie relazionali tra i protagonisti, e le panoramiche (di meno), che legano il respiro ampio della storia al destino di ciascuno di loro. Si va continuamente avanti e indietro nel tempo, e la macchina da presa asseconda questo andamento narrativo raccordando ottimamente la linearità filmica determinata dallo sviluppo caratteriale dei protagonisti con le distorsioni spazio-temporali scaturite dal flusso della memoria di Frank.
Ci sono tre aspetti affatto secondari che credo vadano sottolineati. Il primo, è il fatto che il film vive anche di leggerezza, disinnescando la gravità del potere criminale con pillole di sagace ironia. Si prenda su tutte la sequenza (praticamente già virale) in cui Jimmy Hoffa litiga col boss Tony Provenzano (interpretato da Stephen Graham) perché è arrivato con quindici minuti di ritardo all’appuntamento presentandosi, per giunta, con un colorato paio di bermuda (stiamo in Florida). Uno scontro in stile western dove al posto delle pistole c’è il vicendevole scambio di parole al veleno. Il secondo, la durata del film (circa tre ore e mezza), che potrebbe rappresentare un difetto. O forse no se ci si sintonizza col respiro ampio della storia, al suo carattere da epopea "classicheggiante". L’ultimo (il più importante a mio avviso), è quello relativo al ruolo fondamentale di Peggy, la figlia di Frank Sheeran. Quando è piccola (interpretata da Lucy Gallina), i suoi occhi sono portati a capire cose che una bambina non dovrebbe mai capire, a maturare una diffidenza per il padre quando ad un padre gli si dovrebbe solo voler bene. Quando è grande (Anna Paquin), invece, instaura una complicità spensierata con Jimmy Hoffa, la stessa che si era sempre rifiutata di concedere a Russell Bufalino. Cosa che insinua un ambiguo sentimento di gelosia nell’animo del boss mafioso. Ecco, Martin Scorsese è come se ne avesse voluto fare una sorta di angelo ammonitore, la cui presenza può bastare da sola a far emergere le trame sottaciute della cattiva coscienza. Le trame di una storia che sa scrutare le nascoste profondità delle cose.
“The Irishman” ha i tratti tipici del film testamento, quello che vuole guardare in controluce le forme di una carriera e nel farlo la porta a visitare tutti i caratteri che l’hanno resa riconoscibile e luminosa.
Ci sono tante cose in questo film, quasi tutto. L’attenzione per la nascita e lo sviluppo della “carriera” criminale, rafforzata dalle relazioni familiari e dallo spirito familista. Il legame delle bande criminali con i centri del potere politico. La funzionalità della mafia all’interno dell’apparato capitalista. L’analisi secca sull’ "American way of life", fatto sempre con schiettezza, senza retorica o ammiccamenti militanti, ma solo mostrando gli effetti degeneri che la sete di potere e di denaro provoca sulle persone. La sovrabbondanza di immagini e di stili, sempre armonizzati a dovere nell’elegia del racconto. La frantumazione "dell’American Dream", con la faccia dell’anima nera (sempre quella da “Mean Streets” in su) che si cela dentro lo sfavillante luccichio dei luoghi di “rappresentanza” (ristoranti, locali, alberghi, casinò). La storia come presenza tangibile, che condiziona e indirizza i comportamenti delle persone. L’amicizia per la vita, che si nutre di un senso di lealtà che sembra non dover essere mai tradita dagli intrighi del malaffare. Gli echi lontani dell’Italia e del suo cattolicesimo di riporto, che affogano nel fatalismo consolatorio l’estemporanea irruenza dei sensi di colpa. Ecco, tutto contribuisce a fare di “The Irishman” una sorta di summa del modo di intendere e di fare cinema di Martin Scorsese, rappresentando un ideale chiusura del cerchio con due suoi capolavori in particolare : "Quei bravi ragazzi” e “Casinò”. Al primo lo lega l’andamento narrativo, indirizzato dal flusso dei ricordi e tutto incentrato sull’ascesa prorompente di “bravi ragazzi” nel mondo della mafia. Al secondo, la rappresentazione di come la criminalità organizzata sa riciclarsi bene negli affari legali (quei Casinò finanziati anche dal sindacato di Hoffa). Ma se nei due film precedenti domina un montaggio serrato e un ritmo che non dà mai tregua, in questo emerge un tocco più elegiaco, da affresco storico (appunto), che guarda a ciò che rappresenta con un atteggiamento che oscilla tra il resoconto esistenziale fatto in una forma molto intimista e la pura analisi di uno spaccato di mondo. Si respira classicità a pieni polmoni in questo film e in fondo, nel voler ringiovanire tre grandi “vecchi” come Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci, nel voler giocare sul contrasto tra i volti che l'uso della tecnica può "camuffare" a piacimento e l'andatura dei corpi che non possono mentire sull'età, si avverte l’intenzione di voler sancire il primato indiscusso della forma Cinema : intesa come arte che è grande proprio perché può vivere di trucchi esibiti e dell’invariabile destrutturazione dello spazio e del tempo. Il tutto è avvolto in un’eleganza crepuscolare che abbaglia lo sguardo. Premio alla regia sontuosa di Martin Scorsese, ritornato nella sua forma migliore, e alle interpretazioni di tre attori straordinari che dimostrano di avere ancora classe da vendere. Grande Cinema.
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