Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
La mia attesa per "The Irishman” era a dir poco spasmodica. Indescrivibile. Un film da vedere in totale solitudine. O quasi. Avevo anche qualche timore, non lo nascondo.
È andata bene, benissimo.
Con" The Irishman" Martin Scorsese ritorna a quello che conosce e sa fare meglio: ed il è film che tutti gli amanti del suo Cinema (o quasi: in qualche sparuto angolo delle strade di chissà quale cittadina, c’è chi magari rimpiangerà l’inerte “The Silence”: “de gustibus non est disputandum”), avrebbero voluto (ri)vedere. E con gusto.
Bisogna innanzitutto ringraziare Netflix per questo: come ben sappiamo i costi di produzione (anche a causa della decisione di utilizzare gli effetti digitali al fine di modificare l’aspetto dei protagonisti: su questo fatto molti spenderanno fiumi di parole. Io dico solo che il risultato del lavoro in CGI della Industrial Light & Magic è stato portentoso, certo parliamo “di palate” di soldi, non miei, per cui, bene così! ) oltre alla smisurata durata finale del film, di ben 3 ore e 30 minuti, degna dunque di una mini serie televisiva, avevano infatti di fatto spaventato ed allontanato le case di produzione. (Anche perchè il precedente “The Silence”, manco a dirlo, era stato un flop commerciale clamoroso).
In effetti i film di Scorsese, salvo rare eccezioni, purtroppo, non sono sono mai stati redditizi dal punto di vista commerciale: e cosi questo Kolossal a lungo agognato (pare che un entusiasta Bob ne parlò con l’amico Martin addirittura nel 2007, quando “il nostro” si innamorò del libro "L'Irlandese. Ho ucciso Jimmy Hoffa“ di Charles Brandt), correva il rischio di non venire alla luce.
Detto ciò, come non dare torto a Bob De Niro?
Figurati io.
Bravo Bob, tra un film “alimentare” ed un altro (Uè e altrimenti dove li trova i soldi per finanziare il “New York Film Festival”? Però quando è troppo è troppo ! Ma veramente ti sei divertito a girare, tanto per fare due titoli, quelle sonore cacate di “Il Grande Match” e ”Manuale d’Amore 3” ? ) il cervello evidentemente torna ad indirizzarti verso la scelta giusta.
Eh sì, perchè un progetto di questo tipo, che nel raccontare dal punto di vista di Frank Sheeran (veterano della Seconda guerra mondiale e poi spietato sicario affiliato “alla famiglia”) la scomparsa del famigerato ed iconico sindacalista Jimmy Hoffa, affrontava decenni della controversa Storia Americana e le strette relazioni tra il crimine organizzato e la politica, chi poteva raccontarlo meglio dell’amico Scorsese?
Nessuno.
Appunto.
C’erano veramente tutti gli elementi per farne un nuovo esplosivo ed autentico classico film di Zio Martin: una funerea storia di criminalità, “famiglia”, fratellanza e tradimento.
Nessun dubbio, era proprio questo il progetto che “i nostri” cercavano: e che finalmente poteva portare ad una nuova collaborazione tra i due amici e mostri sacri, a distanza di circa 24 anni dall’ormai leggendario “Casino”.
Bob De Niro è dunque la seconda persona che dobbiamo ringraziare, perchè è colui che ha fatto scattare “la scintilla”, e ne ha dettato in parte la struttura del film, come già accaduto in passato, è bene ricordarlo, per altri magnifici film (“Taxi Driver” e ”Toro Scatenato”) di Scorsese.
Poi è venuto tutto il resto.
E parliamo di “tanta roba”.
Ovvero l’adesione viscerale di Scorsese, l’arruolamento (non facile: pare abbia attaccato il telefono più volte ai vecchi amici prima di cedere) dell’altro amico fidato Joe Pesci, che sebbene ritiratosi dalle scene circa dieci anni fa, alla fine non poteva certo dire di no ad un’offerta così importante (“... meglio, “che non si poteva rifiutare”: senza bisogno di fargli trovare nel letto alcuna "testa di cavallo" ).
Quindi la “ciliegina sulla torta”: l’arrivo di Mr. Pacino, chiamato e fortemente voluto personalmente (!) da De Niro (perchè eh che cavolo, la loro carriera non poteva finire con quella avvilente collaborazione nel penoso “Sfida Senza Regole”) e finalmente al lavoro in un film di Scorsese, come il sottoscritto pregava da 35/40 anni.
Ogni tanto (almeno) il Cinema ha un potere terapeutico quando non salvifico: e permette di realizzare dei sogni.
Ricapitolando: un film di “Re Scorsese” (non “per una notte” ma dagli anni ’70 a questa parte: di fatto, nessuno come lui), con Robert De Niro, tornato al suo meglio, nel ruolo ovviamente del protagonista Frank Sheeran e narratore in prima persona della storia.
E con lui, il duo delle meraviglie composto dall’istrionico Al Pacino (il famigerato sindacalista Jimmy Hoffa, capo del sindacato più potente degli USA) e Joe Pesci (il potente e gelido “Don” Russell Bufalino ).
Un terzetto da favola.
Come sono le loro interpretazioni?
“Chetelodicoafare” ! (Cit. Al Pacino in “Donnie Brasco” : per quei pochissimi che non lo sanno).
Quindi Steven Zaillian a curare al meglio la complessa ed articolata sceneggiatura, il grande e pluripremiato Rodrigo Prieto alla direzione della fotografia. E la fedelissima ed infaticabile Thelma (“senza Louise”) Schoonmaker come sempre in cabina di montaggio. (Studiamola: è del 1940).
No dico, cosa volere di più ? Bè in verità, da qualche parte nel cast, “potevano starci “anche Di Caprio e Daniel Day Lewis.
Della serie: essere incontentabili.
Ma “accontentiamoci” dei vari comprimari, tutti ovviamente con le facce giuste, ovvero Harvey Keitel (è il mafioso Angelo Bruno: ha solo 5 minuti e riesce a dare veramente il meglio, ma nessuno se lo fila mai), Anna Paquin (è Peggy, la figlia di Frank: il suo sguardo, ci dice tutto senza bisogno di inutili parole) ed ancora Ray Romano, Bobby Cannavale, Jesse Plemons. Perchè manco a dirlo, se la cavano assai bene anche loro.
Qualcuno dirà che si tratta di cose già viste (e anche molto bene), di un mondo descritto e sviscerato in passato ampiamente (anche e soprattutto) da Scorsese.
Che bisogno c’era di fare un (altro) film “così” ?
Qualcuno (pare siano in 7 in tutto il Pianeta Solare: ma esistono veramente?) avrebbe forse voluto un nuovo “Kundun”, un nuovo “The Silence”. Un altro documentario senza infamia e senza lode sui Rolling Stones. No, ti prego, no !
Per (mia) fortuna Scorsese ha girato invece l’enorme “The Irishman”, un’opera monumentale ricca di sequenze, di musiche, di momenti alla “Scorsese & De Niro & Pesci (quelli familiari di “Toro Scatenato” per intenderci) ed in cui ad Al Pacino è stata data la libertà di fare (alla grande) “quello che vuole” (e di fagocitare letteralmente il film nella sua parte centrale) : magnifico tassello (finale?) di una quadrilogia composta insieme a "Mean Streets“, Quei Bravi Ragazzi e"" Casinò". (Ma non mi dimentico di “Toro Scatenato”. Non era certo privo di elementi che trattavano di crimine organizzato. Eh ma perchè, “Gangs of New York” ? Cazzo, allora non è" per una mazza" una “quadrilogia” !)
In fondo sono cose che personalmente avevo già sentito dire da qualche santone/detrattore ai tempi di “Quei Bravi Ragazzi” : e soprattutto dopo “Casinò”.
Per il sottoscritto (ma non solo: è un’opinione oramai ampiamente condivisa e sedimentata, lo si può dire con tutta serenità) due delle vette più alte della filmografia di Scorsese.
(Apro una parentesi. A qualcuno non piacciono “questi film”? Stia alla larga da Scorsese, “The Irishman” incluso : si può vivere serenamente anche senza: “Trust me”).
Sempre lo “stesso film” dunque? Forse sì, ma solo per certi aspetti, solo in superficie.
Poi è il risultato finale a fare la differenza.
Quello che cambia in questa occasione è sicuramente il racconto, il registro, lo sguardo e l’ambizione del film.
E “The Irishman” è un film sicuramente più ambizioso ad esempio del piccolo e seminale “Mean Street”.
Non è più tempo di narrare le folli geste dei piccoli criminali che abitavano nel quartiere e nelle stesse strade del regista.
Non è più (solo) tempo di comporre un preciso e sbalorditivo studio antropologico delle famiglia mafiose, come in “Quei bravi ragazzi”: o come in “Casinò”, di far vedere, passo dopo passo, la disturbante ed allucinante nascita del capitalismo mafioso in quel di Las Vegas. E questo è quanto (Cit. Robert De Niro in “Casinò).
Nessuna fascinazione.
Nessuna epica.
Scorsese e con lui “De Niro e famiglia” si avvicinano oramai alla soglia degli 80 anni: chiaramente non possono più avere l’energia passata, che li aveva portati quasi 30 anni fa a realizzare “Quei Bravi Ragazzi”, loro imprescindibile capolavoro.
Hanno ripeto uno sguardo diverso, che guarda al passato in modo insieme tragico e malinconico.
Qualcuno guardando “The Irishman”, con i suoi tempi più dilatati e riflessivi, anche e soprattutto nel finale, abitato da un immenso De Niro, forse rimpiangerà (del tutto lecito) il furore ed il ritmo incalzante di quello straordinario film.
E dirà che è troppo lungo. (Sì, vero: ma quali cavolo di scene dovremmo andare a tagliare? Qualcosa all’inizio forse: parlatene con Martin & Thelma nel caso e poi fatemi sapere).
Scorsese e “famiglia” sono stati insomma capaci (a ben guardare) di correre più rischi: di non replicare alla lettera un modello, quello di "Quei Bravi Ragazzi" ( per capire la differenza tra i due film, sono esemplari in questo senso la scrittura del personaggio e poi la prova di Joe Pesci: in entrambi i casi, lui è da brividi) di fare un film sicuramente meno incalzante ed accattivante di altri (vedi “The Departed” e “Wolf of Wall Street”), dove ritroviamo comunque, almeno nella parte iniziale, esecuzioni, violenza e persino amaro fottuto divertimento.
Ma che poi rallenta e si fa riflessivo.
Perchè questo film tra grandi vecchi amici, è soprattutto una disillusa e lucida riflessione sul tempo che passa: sulla passione e l’amore che man mano non ci sono più, sul rimorso lacerante causato dal tradimento (qui esplicitato molto ma molto meglio che in “L’ultima tentazione di Cristo”) sul dolore, la vecchiaia e la morte.
Eh sì , la morte in un modo o nell’altro, alla fine sempre ti raggiunge: certo a guardare il protagonista, vecchio e solo, inerte su una sedia a rotelle, forse era meglio “sparire di scena” con un veloce colpo di pistola che con una lenta, dolorosa ed ineluttabile morte naturale.
“The Irishman” per chi scrive è dunque, senza dubbio alcuno, un film da applausi, tecnicamente sbalorditivo, sorretto da interpretazioni dalle diverse sfumature e tutte magistrali.
È un doloroso canto funebre, un autentico film testamento , summa e capitolo definitivo di tutto un genere.
Caro Martin, ma sai che potresti “chiudere qui”, in grande bellezza, con questo magistrale affresco ?
Pensaci: perchè fare altro?
Ma il Re sei tu: “fai quello che vuoi”.
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