Regia di Milos Forman vedi scheda film
In un senso macroscopico è una battaglia - persa in partenza per definizione - di un uomo contro una società, o per lo meno contro la sua frangia più bigotta ed estremista del puritanesimo. Scendendo nello specifico, è l'eterna lotta per la libertà di espressione che viene stroncata quando confusa con il diritto ad avere e ricercare il proprio gusto, socialmente accettato o meno che sia. Si può discutere se sia bello o brutto (invano), ma certo non sull'eventuale legalità: l'espressione di un parere va soltanto salvaguardata. Questo è ciò per cui Flint combatte contro i giudici, contro l'opinione pubblica (che poi nascostamente lo sovvenziona, arricchendolo mostruosamente con l'acquisto massivo delle sue riviste), contro le associazioni religiose, contro le istituzioni e quant'altro. Inevitabilmente, diventa un martire. E' un film ben girato e, a parte Courtney Love come quasi sempre inguardabile, con interpreti in forma; un po' lunghetto e prolisso nella prima metà, quando comincia la sequela di dibattiti in tribunale.
La vita e le battaglie legali di Larry Flint, l'editore di Hustler, rivista statunitense simile ad un Playboy più sboccato e degenerato; fra gli anni '70 e gli '80 è una dura lotta per la libertà di stampa e di espressione, clamorosamente persa ogni volta. Oltre alla galera, Flint riceve una scarica di fucile all'uscita da una delle tante udienze e rimane paralizzato in carrozzella a vita. La moglie si suicida, l'avvocato lo abbandona quando Flint, complici anche gli psicofarmaci, perde completamente il senno. Ma non si arrende mai.
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