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Larry Flynt. Oltre lo scandalo

Regia di Milos Forman vedi scheda film

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La recensione su Larry Flynt. Oltre lo scandalo

di giurista81
7 stelle

Il regista Oliver Stone, reduce dal folle Natural Born Killers (1994), evoluzione ipnotica e visionaria di un soggetto di Quentin Tarantino, e dal più convenzionale Gli Intrighi del Potere (1995), produce questa pellicola plasmata dalla penna di Scott Alexander (proveniente dal film dedicato a colui che è definito il peggiore regista della storia ovvero Ed Wood, pellicola diretta da Tim Burton) e del fedele compagno di avventure Larry Karasczewski da South Bend. Larry Flint segna così il proseguimento sulla strada della follia intrapresa da coppie borderline tendenti alla perdizione, quanto meno etica e morale, sull'esempio lanciato dal duo Mickey e Mallory di Natural Born Killers. Nella fattispecie non abbiamo due giovani assassini, bensì un proprietario di nightclub che si improvvisa editore e una giovane ballerina dai modi e dagli atteggiamenti ultra-libertini (buona interpretazione della moglie di Kurt Cobain, Courtney Love). I due hanno in comune il modo strafottente di sfidare autorità e regole consuetudinarie, senza però travalicare in comportamenti violenti ai danni di persone e patrimoni (come invece nel precedente film). Il disvalore morale della coppia è offerto dall'approccio materialistico con cui i due componenti vivono la loro vita, un'interpretazione della relazione libera da vincoli di fedeltà sessuale e da tabù dettati dagli insegnamenti del comune vivere, atteggiamenti però che fungono da specchietto per le allodole, ovvero da trappole tali da mandare "fuori strada" e influenzare negativamente il pensiero di chi ragiona per preconcetti precostituiti invece che di trovare il senso filosofico delle cose e di disancorare il giudizio sulla persona dai fatti oggetto di analisi. I due, infatti, nella loro sgangheratezza e nel loro modo aperto di concepire la vita di relazione, sono una coppia solidissima che vive la sua storia d'amore in modo profondo e sincero. A fungere da ulteriore collegamento tra Larry Flint e Natural Born Killers è la conferma del protagonista Woody Harrelson, ancora una volta nei panni di un istrionico dedito a droghe e sesso sfrenato, che sfida istituzioni, massmedia e procedure, finendo regolarmente in carcere per la gioia di giornalisti pronti a intervistarlo e a metterlo sotto la luce dei riflettori. Memorabili, a tal riguardo, le sceneggiate in tribunale che sembrano una via di mezzo tra le sparate di Robert Theodore Bundy (che pure era un consumatore delle riviste di Flint e di altre del genere, tanto poi da reputarle colpevoli dei suoi delitti nella famosa intervista che rilasciò prima di esser giustiziato sulla sedia elettrica) e gli atteggiamenti, assai più acuti e pungenti, di Ambrose Bierce che, ben prima di Flint, subì processi similari per la sua verve satirica mandando in visibilio i tribunali e liberandosi dalle strumentali denunce di ingiuria che gli furono mosse contro (finirà per interessare la saga prodotta da Quentin Tarantino de Dal Tramonto all'Alba).

Oliver Stone, tramite i suoi sceneggiatori, riduce in modo importante la componente grottesca, per scegliere un taglio realistico che si avvicina al legal thriller, usando come base i fatti storici che hanno ispirato il film (il vero Larry Flint partecipa in veste di attore nei panni di un giudice, peraltro). Purtroppo lo script paga una parte centrale che appesantisce la storia, la rende meno scorrevole, limitandosi a tracciare l'evoluzione della rivista senza aggiungere niente al contenuto finale del film. Flint infatti tenta addirittura di dare alla sua pornografia un tocco religioso (abbandonerà l'idea dopo aver ricevuto una fucilata) che possa, in un qualche modo, benedirla, renderla in un qualche modo naturale esorcizzando quel senso pudico da cui poi si genera la violenza come risposta alla "castrazione" figurata dei propri impulsi sessuali. Una contraddittorietà che rischia di depistare dal contenuto del film che invece è tutto incentrato sull'ipocrisia e sull'atteggiamento bigotto della società americana degli anni '70 e '80 (ma vale solo per quella? Io direi di no, dato che un certo Bertolucci, in quegli anni, finì per esser denunciato per i medesimi motivi per via del capolavoro Ultimo Tango a Parigi) che condanna, nella fattispecie, la pornografia costituita dalle immagini stampate su una rivista sexy. Hustler, questo il nome del magazine, ha la colpa-merito di sbaragliare fin da subito la concorrenza di colossi come Playboy Penthouse (riviste che in quegli anni si permettevano persino il lusso di fare da sponsor in Formula 1), trasformando il suo piccolo caporedattore, Larry Flint, da sfigato cronico a miliardario kamikaze che non teme niente e nessuno (sposa persino il genere della satira applicata alla sfera sessuale, attaccando personaggi in vista e addirittura l'FBI), senza però avere protezioni politiche in grado di tutelarlo.

Chi vede il film non deve farsi traviare dal tenore di vita sballato e dagli atteggiamenti da spaccone che Flint va a tenere in tribunale e fuori (a esempio si presenta davanti al giudice con una bandiera degli Stati Uniti usata a mo' di pannolone, perché il giudice gli ha dato del bambino; o fa scaricare 10.000 dollari in banconote da un dollaro davanti al giudice, come pagamento di un'ammenda facendo gettare i dollari a terra da due sacconi di nylon), non è questo il tema. Si tratta solo di una maschera polemica attraverso la quale il protagonista critica il sistema che non riesce ad accettare, perchè lo reputa ingiusto e falso, forse addirittura manovrato da chi sta più in alto. Una strategia deleteria, non c'è dubbio, ma che rende Flint non ipocrita (a esempio non si nasconde mai dietro a presunti propositi culturali), contrariamente da chi lo attacca e da chi si fa distogliere dai suoi atteggiamenti per aggravare le pene, quando invece si dovrebbe discutere di altro. Cioè che rileva non sono i modi o ciò che dice Flint, ma la libertà di manifestare il proprio pensiero, la libertà di stampa  e di opinione e i limiti di tali diritti. Bello il passaggio in cui l'avvocato di Flint/Harreldson, il bravo Edward Norton (ruolo che non gli permette di gigioneggiare come altrove), cerca di far ragionare corte e giudici circa termini quale "osceno", "satirico", "culturale" senza farsi influenzare dal gusto personale relativo ai contenuti di volta in volta proposti. Norton dice "a me non piace, poi..." si deve considerare i muri che, a poco a poco, si vanno ad alzare, a seconda di ciò che si decide, e che limitano le libertà personali di espressione. Non a caso Flint, in un passaggio, cita George Orwell, uno che sui controlli e l'indottrinamento massmediatico ha scritto un caposaldo.

Degno di nota è allora l'epilogo in cui Norton legge al suo assistito la sentenza finale della Suprema Corte, dopo decenni di lotte e attentati (addirittura sparano a cliente e assistito, con un fucile da cecchino, perché infastiditi dalle ingerenze nella sfera politica del magazine). Questo il contenuto: "Il cuore del I emendamento è il riconoscimento della fondamentale importanza della libera circolazione delle idee. La libertà di esprimere le proprie idee non è solo un aspetto della libertà individuale, ma è essenziale per la ricerca della verità e per la vitalità della società pubblica, nel contrastato ambito delle libertà democratiche. Molte cose ispirate da motivi non del tutto ammirevoli sono protette non di meno dal I emendamento."

Questi i contenuti da cui si passa alla realizzazione. Stone abbandona l'idea iniziale di dirigere la pellicola, chiama il collega ceko Milos Forman e gli affida la regia, anche perché Forman è un regista che potremmo definire sensibile ai personaggi anticonformisti. Chi legge ricorderà, senz'altro, l'immenso Qualcuno Volò sul Nido del Cuculo, pellicola in cui si sottolinea l'atteggiamento dei centri di potere orientato a catalogare come soggetti affetti da disturbi mentali tutti coloro che non si adeguano agli schemi socio-comportamentali rientranti in un range determinato da un dato periodo storico sociale, perché, come dice Jack Nicholson, nel film Easy Rider, un soggetto veramente libero è pericoloso poiché non controllabile.  Forman si regala persino un'autocitazione, quando uno dei vari giudici incontrati dal protagonista dispone il ricovero in una clinica psichiatrica dello stesso per punire i suoi atteggiamenti irrispettosi (ci pare un atteggiamento alquanto minatorio ed estorsivo da parte del giudice, che avrebbe invece dovuto sbattere fuori dall'aula l'imputato, un po' come avvenne a Vanni nel Processo sul Mostro di Firenze). La regia è convenzionale, ordinata. Forman non ricerca virtuosismi, ma preferisce uno sviluppo ordinato, vuoi lento, ma comunque chiaro. Si sofferma sulla caratterizzazione dei personaggi, gioca sugli sguardi, sugli scambi di occhiate, i sorrisi, anche le coccole che stanno alla base dell'originale rapporto di coppia tra Flint e la sua Althea (personaggio di per sé sopra le righe anche nel look e che si lascerà morire, in modo drammatico, affogando nella vasca da bagno). I due, peraltro, pagano con la malattia il loro modo di vivere. Si potrebbe quasi leggere una metafora artistica del male che si manifesta sul corpo dei due "ribelli" per effetto e volere di coloro che si professano quali "buonisti" e tutori dei veri valori. Althea contrae l'AIDS (malattia che debilita le difese immunitarie), Flint resta paralizzato a causa di una fucilata che gli provoca una lesione che gli elimina la capacità di movimento (e dunque gli limita la libertà d'azione fisica). 

Alla fine viene fuori un film buono, magari lento e non spettacolare, dai forti contenuti drammatici e con una sceneggiatura che fa riflettere e che è sempre moderna. Lo ripeto, non si deve cadere nell'errore di interpretare il film come un'opera sulla "pornografia", il senso, a mio avviso, è più profondo e converge su tematiche quale satira, libertà di cronaca e libertà di manifestare le proprie opinioni, ovviamente suffragate da elementi solidi e tali da giustificare quanto affermato, contro l'atteggiamento castrante dettato dall'opinione prevalente in un certo periodo storico. In altri termini è in ballo l'infinita dicotomia tra l'essere sé stessi (anche se questo significa andare contro i valori considerati morali ed etici) oppure vivere da frustrati mentendo alle proprie inclinazioni fino al punto di trasformarsi in ciò che gli altri vorrebbero che si fosse.

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