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La tregua

Regia di Francesco Rosi vedi scheda film

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La recensione su La tregua

di LorCio
5 stelle

Primo Levi è il più celebre testimone della barbarie avvenuta nei campi di concentramento. Ed è stato anche colui che ha raccontato ciò che è avvenuto dopo, ossia La tregua dopo la guerra. Proprio da questo libro parte Francesco Rosi che, assieme a Tonino Guerra e Sandro Petraglia e Stefano Rulli, realizza un film ambizioso e non sempre riuscito. Il 27 gennaio del 1945 i soldati russi arrivano ad Auschwitz. Alla fine di febbraio il chimico ebreo torinese Primo Levi comincia il lungo viaggio di ritorno che dura quasi otto mesi tra destinazioni incerte, derive, soste obbligate, peripezie, vagabondaggi. Dopo un viaggio in treno di trentacinque giorni il 19 ottobre 1945 arriva a casa, a Torino. La sua vita sarà segnata per sempre (al punto che non resisterà al tragico ricordo di quell’esperienza, suicidandosi alla fine degli anni ottanta).

 

La tregua era innanzitutto difficile da trasportare sullo schermo cinematografico, una materia narrativa troppo dolorosa e anche talora non armonica, con rari scambi di battute e molta descrizione, arditamente trasferita al fine di fornire una testimonianza audiovisiva su quel dramma che fu l’immediatissimo dopoguerra, e a conti fatti l’operazione di Rosi non può considerarsi centrata. Probabilmente non si poteva fare di meglio – e se qualcun altro ci riproverà non pensate che il risultato sarà migliore – e l’allestimento, pur con alcuni pregi, specialmente nel disegno del personaggio principale, appare poco ispirato, quasi dettato da un dovere. È certo un dovere non dimenticare, ma basta seguire un’imposizione morale per fare un film?

 

I difetti stanno soprattutto nella sceneggiatura incerta e didascalica, e un’opera, che poteva rivelarsi struggente e poetica, si limita ad essere un racconto enfatico. Fosca e cupa la fotografia di Pasqualino De Santis, alla sua ultima fatica (così come è il canto del cigno per Ruggero Mastroianni), e una lode speciale andrebbe espressa nei confronti di un Luis Bacalov alle prese con una delle sue migliori partiture. In un cast pieno di bozzetti e stereotipi (dal romanaccio Ghini che imita il Sordi drammatico al ladro milanese di Bisio passando per il violinista di Citran e il siculo di Luotto fino al greco di Serbedzjia), spicca l’intensa e silenziosa prova di John Turturro.

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