Regia di Samuel Collardey vedi scheda film
CINEMA OLTRECONFINE
La crisi dei trent’anni, l’indecisione se seguire pedissequamente le orme familiari e divenire pertanto un insegnante col secondo lavoro della gestione dei poderi danesi ereditandi, spinge il maestro Anders a scegliere la fuga: l’anno sabbatico che potrebbe aprirgli la via per una trasferimento definitivo, in uno dei territori più remoti ed ostili del pianeta: la Groenlandia.
E tra i tre posti disponibili, il ragazzo, per sfida a se stesso, finisce per scegliere quello più isolato, impervio e difficile in assoluto: un villaggio di pescatori e cacciatori di pelli di nome Tanitequulaq: 80 abitanti, tra cui una ciurma di bambini vivaci, poco avvezzi allo studio, decisamente difficoltosi da gestire.
In loco tutto costituirà una sfida. Dal sopravvivere al clima artico inclemente e omicida, a cercare di integrarsi imparando la lingua nativa, al contrario delle raccomandazioni ricevute dalla organizzazione scolastica di insegnare sempre e solo il danese alla comunità di nativi.
Sarà il contatto con la natura selvaggia e severa, la partecipazione a missioni di caccia al seguito di lunghe e vocianti mute di cani, a conferire al ragazzo il corretto spirito per affrontare una missione che pareva fallita già dalla partenza, facendogli maturare altresì convinzioni ben più chiare sul suo futuro in quell’inquietante, ma pure meraviglioso, regno cristallizzato fuori da ogni tempo, moda, o costume di vita.
Per la regia di quel francese Samuel Collardey che già avevamo conosciuto in zona festivaliera veneziana col precedente e riuscito Tempete, ove già si misurava con il binomio uomo-ambiente di vita ostile ma necessario alla sopravvivenza (allora si parlava di pescatori), Un année polaire si fa forza sugli scenari mozzafiato che da pochi anni, con l’ausilio di droni e cineprese ammesse, rendono altamente scenografiche panoramiche altrimenti ipotizzabili solo con l’ausilio di mezzi pesanti e costosi.
E descrive schiettamente, e senza indulgere in inutili atteggiamenti puerilmente animalisti senza costrutto, scenari di caccia ove l’azione si traduce in un atto di mera sopravvivenza, laddove l’ambiente ostile e disumano non permetterebbe alternative per restare in vita.
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