Regia di Al Pacino vedi scheda film
Un bellissimo film documentario però fine a sé stesso. Si prefiggeva lo scopo di farci conoscere meglio uno dei capolavori più trasposti di Shakespeare, forse il più ostico. Ma, alla fin fine, ne sappiamo quanto prima, forse addirittura meno, data la natura arabesca di questa pellicola pacinesca.
Ebbene oggi, per i nostri racconti di Cinema, abbiamo optato per un film molto particolare, ovvero Riccardo III, sottotitolato Un uomo, un re. Opus del ‘96, presentata alla rinomata sezione Un Certain Regard del 49° Festival di Cannes, sezione spesso riservata alle pellicole, giustappunto, peculiari e spesso sperimentali. Infatti, Riccardo III, recitato appassionatamente e diretto, oltre che scritto (assieme a Frederic Kimball), dal grande Al Pacino, è un’opera della durata consistente, mai noiosa, bensì avvincente e appassionante in senso tout-court, di un’ora e cinquantadue minuti soltanto, potremmo, parzialmente cinematografica nella sua accezione più letterale.
In quanto, così come tutti i film diretti da Al Pacino, dopo l’inedito The Local Stigmatic e prima di Chinese Coffee (un kammerspiel teatrale messo in scena in modo filmico) e Wilde Salomé, conosciuto anche come Salomé, rappresenta, per certi versi, un unicum irripetibile, in quanto è una sorta di “fiction” documentaristica mescolata alla Settima Arte più sottilmente egregia e lodabile, soprattutto coraggiosa e speciale.
D’altronde, il suo titolo originale, cioè Looking for Richard, esemplifica più nettamente ed enuncia meglio, potremmo dire, il significante di quest’ardita, ambiziosa, eccentrica e meravigliosa opera seconda di Pacino. Poiché Riccardo III non è un vero e proprio film, così come dapprima accennatovi, bensì un’immersione all’interno dei meandri dell’omonimo capolavoro scespiriano, vale a dire naturalmente di William Shakespeare, palesandosi, in particolar modo, come un sofisticato, affascinante e itinerante peregrinarvi, in senso lato, irrinunciabile. Ci spieghiamo più precisamente. È un atipico e irresistibile documentario, filmato in maniera cronachistica e, diciamo, indagatoria e personalissima, riguardante un immaginario adattamento, ça va sans dire, della succitata e celeberrima opera del Bardo. Ove Al Pacino, nei panni di sé stesso e dell’ipotetico Re Riccardo, suo cavallo di battaglia, già peraltro, con enorme successo, da lui precedentemente e numerose volte portato sulla scena a teatro, si filma, un po’ gigionescamente ma in modo sublime, mentre intervista e colloquia animosamente con esponenti molto attendibili e rinomati intellettuali esperti di Shakespeare, provinando possibili futuri interpreti e attori famosi, specializzati in merito, nell’alternanza fascinosa e ipnotica di spezzoni di repertorio e d’un sincopato montaggio in cui lui stesso, in distinti frangenti temporali intercorsi fra il concepire, ideare, allestire tale suo Riccardo III, procederne nella realizzazione ultimata e, solamente dopo tre anni dal suo inizio, appieno concretizzatasi, s’omaggia attraverso un fantasmagorico excursus brillante ed emotivamente ricolmo di furente pathos superbo e spettacolare.
Pacino, sì, proverbialmente, nel suo carismatico stile recitativo inconfondibile e impari, giocosamente si pavoneggia e gigioneggia con far sopraffino, catalizzando sempre il nostro sguardo su di lui, impressionante e affascinante, vivificando il suo Riccardo in modo straordinario, in quanto Al è capace, per natura e vivido istinto istrionico incommensurabile, d’imprimere vivace, pugnace, sanguigno vigore e corrosiva, feroce armonia a ogni parola da lui recitata con abrasivo fervore e illimitata passione ammirevole davvero sconfinata. Regalandoci un Riccardo III tutto suo e giammai visto sin ad ora, debordante sussultante cuore da uomo tanto splendidamente teatrante, perfino nella vita privata, quanto cinematograficamente entusiasmante.
Al che, nel film vediamo sfilare, come dettovi, una sterminata compagnia di attori più o meno importanti, nel cui parterre compaiono e sono senza dubbio da citare, fra i tanti, John Gielgud, Kevin Conway, F. Murray Abraham, Alec Baldwin, Aidan Quinn, Kevin Spacey, Richard Cox, Estelle Parsons, Kevin Kline, Vanessa Redgrave, James Earl Jones, Derek Jacobi, Kenneth Branagh, Winona Ryder e Penelope Allen. Quest’ultima, amica di Pacino, la quale recitò con lui ne Lo spaventapasseri (anche se, in questo film, non recitano mai a tu per tu, cioè vis-à-vis) e in Quel pomeriggio di un giorno da cani. Penelope Allen, da non confondere con l’ex di Pacino, Penelope Ann Miller (Risvegli), la magnifica Gail di Carlito’s Way e co-protagonista del sopra citato The Local Stigmatic.
Apprezzandone l’impegno e la passione, assai sentita e profusavi, va altresì detto che il Riccardo III di e con Al Pacino non è di certo esente da difetti, perfino grossolani.
Infatti, in tale profluvio, talvolta disturbante, d’immagini sparateci a raffica, Pacino spesso va sopra le righe in modo non sempre pertinente, ammiccando, troppo compiaciutamente, laddove non sarebbe richiesto e necessario. Tant’è che, durante la visione, spesso si può essere colti dal dubbio, non amletico, per cui probabilmente Pacino, più che omaggiare Shakespeare, abbia narcisisticamente e vanitosamente voluto, non poco velatamente, adorare soltanto sé stesso, auto-magnificandosi oltre il lecito accettabile, attorniandosi d’attori suoi amici che, parimenti, hanno voluto semplicemente divertirsi, tirandosela da intellettuali fra l’annoiato e il retorico più smodato in senso metaforico.
Nella sua parte centrale, indubbiamente, il film perde decisamente quota e s’affloscia, divenendo estremamente soporifero e, ripetiamo, eccessivamente “studiato a tavolino”. Riprendendosi però negli ultimi minuti finali grazie a virtuose impennate registiche decisamente non malvagie.
Musiche d’atmosfera di Howard Shore (Crimes of the Future).
di Stefano Falotico
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