Regia di Kiyoshi Kurosawa vedi scheda film
Yocho (Foreboding) è un film giapponese del 2017, scritto e diretto da Kiyoshi Kurosawa.
Sinossi: Etsuko è una ragazza apparentemente normalissima; lavora in un nota ditta di tessile ed è sposata con Tatsuo, inserviente ospedaliero.
Un giorno la ragazza avverte una strana sensazione; simultaneamente sia al lavoro sia a casa sua iniziano a verificarsi situazioni e comportamenti del marito/colleghi alquanto anomali. Il tutto sembra essere in qualche modo collegato alle azioni del dottore Jiro Makabe che in realtà non è ciò che sembra…
Foreboding è un progetto interessante, diretto da uno dei massimi autori del cinema giapponese contemporaneo ovvero Kiyoshi Kurosawa, che ha deciso un po’a sorpresa di realizzare una sorta di spin-off/prequel del suo film precedente Before We Vanish, sempre del 2017. Detto questo però è doveroso spiegare brevemente la genesidell’opera, in quanto nasce come serie televisiva divisa in 5 puntate da 28 minuti l’una, visibile su Wowow (rete satellitare giapponese) e solo in seguito rimontata e riadattata con l’intento di trasformarla in un lungometraggio cinematografico presentato al Festival di Berlino (Sono Sion ha fatto l’opposto con Tokyo Vampire Hotel).
Il motivo di tutto questo tran tran è abbastanza semplice, sfruttare la vetrina di Berlino -unita al nome dell’autore- e piazzare sul mercato estero un prodotto nato essenzialmente per il settore televisivo locale. Detto questo molti potrebbero interpretare il tutto in chiave negativa e onestamente l’opera è lontana dai capolavori quali Cure o Kairotuttavia dietro la macchina da presa non troviamo un novellino bensì un regista che da quando è salito agli oneri della critica internazionale (fine anni Novanta) porta avanti con forza una personalissima poetica stilistica e contenutistica lontana dal cinema mainstream, in grado di riflettere sulla società attuale offrendo un approccio quasi avanguardistico.
Foreboding è un film di fantascienza che affronta il macro argomento dell’invasione aliena scegliendo dei canoni di riferimento ben precisi, e soprattutto nella prima parte appare evidente il richiamo ad un grandissimo classico del genere ossia L’invasione degli ultracorpi (1956) di Don Siegel.
Kusosawa con astuzia richiama pure alcuni stilemi del J-horror; non è un caso che l’indagine della protagonista si avvia a causa di un presunto fantasma, presenza che in realtà non vedremo mai come spesso capita nel cinema dell’autore nipponico poiché la vera paura nasce da malesseri reali non tangibili e soprattutto figli della società contemporanea.
Kusosawa non contento espone una prospettiva contenutistica filosofica-esistenziale, soffermandosi su di una serie di elementi e tematiche a lui molte care. L’alieno, di base essere impassibile privo di emozioni (feroce metafore verso il giapponese medio, accusato di essere troppo freddo ed incapace di stabilire sani rapporti interpersonali), ha il compito di sottrarre e studiare i “concetti” umani; vuole comprendere cosa significa famiglia, cosa sia la rabbia, la solitudine e soprattutto provare a vivere in prima persona l’amore e incredibilmente anche la paura della morte.
Il regista ragiona inoltre su di un aspetto particolare ed incredibilmente attuale: come si comporta l’essere umano di fronte ad una crisi senza precedenti ? Si preoccupa del bene comune oppure colto dalla paura pensa esclusivamente al proprio tornaconto rischiando addirittura di compromettere la salute pubblica (la protagonista pur di salvare il marito è disposta a tutto)?.
Concludendo il discorso tematico e nello specifico rimanendo concentrati sull’inizio del film, Kurosawa brevemente accenna ad un tema ormai classico del nuovo cinema giapponese ed equivale alla disgregazione familiare (tra l’altro da lui stesso affrontato molto bene in Tokyo Sonata); Etsuko e suo marito inizialmente si parlano appena, sembrano due sconosciuti riuniti nello stesso tetto, non mangiano mai assieme e figuriamoci se si confrontano sulle loro problematiche.
A livello tecnico ritroviamo diversi fattori cari alla poetica dell’autore dall’uso ingente dell’ellissi alla macchina da presa spesso fissa, focalizzata su spazi vuoti e desolati.
Le prime immagine sono alquanto significative: la camera è fissa quasi ad altezza tatami, posizionata su di un ballatoio circondato da inferriate e soprattutto privo di presenze umane, poi improvvisamente entra in campo una donna ed il quadro composto dal regista allude così ad una sorta di prigione. Detto questa la ragazza si accinge ad aprire la porta di casa ed una volta dentro la sua abitazione l’atmosfera generale non cambia, con la macchina inizialmente fissa e solo in seguito intraprendere un lento in movimento enfatizzando maggiormente una situazione di malessere e disagio.
Kurosawa gioca benissimo con il fuori campo, depositando in quello spazio ignoto elementi soprannaturali ma allo stesso tempo rendendoli percepibili grazie all’utilizzo del sonoro, composto solo da rumori diegetici metallici ed elettronici.
Lo stile è dunque minale, certo un minimale studiato nel dettaglio ed arricchito di tanto in tanto da “virtuosismi” utili ad accrescere la tensione e tipici del genere: oblique dall’alto, semi-soggettive, silhoutte, fuori campo d’impronta o dutch angle.
Terminiamo questo pezzo spendendo due parole sulla sceneggiatura. La storia per quanto evocativa è comunque intrigante tuttavia nel secondo atto assistiamo ad un netto calo di interesse e suspense dovuto ad un cambio di rotta frettoloso e mal gestito, in quanto i cosiddetti alieni da essere creature sottopelle perfettamente integrate nel nostro mondo diventano ad un tratto nemico pubblico dell’umanità. Fortunatamente il regista non rinuncia al suo approccio esistenzialista - filosofico regalandoci una serie di dialoghi molto intelligenti.
Se conoscete il regista o semplicemente amate una certa fantascienza classica, l’opera sicuramente susciterà in voi interesse mentre per i neofiti consiglierei prima le basi kurowasiane (i già citati Cure o pulse oppure il più recente Creepy) e poi questo progetto pur sempre interessante.
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